| L’Unione Sarda | Lunedì 6 dicembre 2010 | Manuela Vacca |
Metro è la «Vorrei sempre che il fumetto fosse un viaggio lungo il quale il lettore riesce ad annusare profumi diversi». Sogni di carta e inchiostro, in un bouquet austero di contemporaneità e crisi economica, per il disegnatore egiziano Magdi El Shafee, creatore di Metro, fumetto colpito dalla censura e costato al suo autore un’ammenda e un soggiorno in carcere. Stavolta è un viaggio con vento a favore nel mare nostrum, con approdo sicuro a Cagliari che, nella terza edizione del festival di fumetti “Nues”, diventa capitale del Mediterraneo tra le “nuvole”.
Con El Shafee, alla manifestazione diretta da Bepi Vigna e organizzata nel quartiere Marina dall’associazione culturale Hybris – Centro internazionale del fumetto, sono arrivati altri illustri ospiti stranieri.
C’era Uri Fink, considerato il più grande fumettista israeliano (creatore della serie Zbeng! ) e il connazionale Eli Eshed, studioso di tradizioni popolari. Nella tavola rotonda della giornata conclusiva di ieri (ma le mostre all’ex Liceo artistico proseguono sino all’8 dicembre) ha stupito il pubblico facendo riferimento al testo dell’archeologo Adam Zertal Sisera’s secret e alle sue recenti scoperte: alcuni nuraghi furono costruiti anche in Israele da sardi provenienti dal sassarese.
Nel quartiere a ridosso del porto non erano da meno le presenze di Igort, Otto Gabos, Davide Osenda e Rony Oren, maestro mondiale dell’animazione con plastilina che in quattro giorni ha fatto realizzare un corto a tutti gli allievi del suo laboratorio. Fruttiferi incontri tra disegnatori e appassionati, ma anche gli artisti arabi e israeliani che non si conoscevano hanno messo valori a confronto.
«Se vogliamo parlare di valori, in particolare di quelli della libertà di espressione, dico che con Metro ho cercato di aprire un varco alla libertà di espressione in una società afflitta da questo problema», spiega Magdi El Shafee, classe 1972 e modi garbati.
Il suo fumetto, ambientato nella Cairo investita dalla crisi economica, narra la vicenda di un programmatore che, non riuscendo a saldare un debito con uno strozzino, organizza una rapina in banca. Metro , pubblicato in Italia con Il Sirente, affronta problemi sociali, economici e politici. Ma l’autore dichiara che il suo non è un political book: «Volevo solo che la mia graphic novel fosse un lavoro di libertà di espressione». Eppure l’hanno accusato di immoralità: corpi nudi in qualche vignetta per una storia dove si vede la polizia picchiare i manifestanti dello sciopero generale del 6 aprile 2008. Non ci sono nomi e cognomi, ma ha dato fastidio questo fumetto per adulti in un paese dove il 45 per cento della popolazione è analfabeta. Quindi il processo e il ritiro delle copie. L’accusa? “Questo libro contiene immagini immorali e personaggi che somigliano a uomini politici realmente esistiti”, si legge sulla quarta di copertina. «Hanno ritirato 250 copie perché il resto delle 1500 erano state vendute. Ormai Metro stava diventando troppo popolare».
Ride alla domanda successiva: fumettista o farmacista? «È come dottor Jeckyll e Mr Hyde. Faccio davvero il farmacista perché posso esprimermi nel fumetto se sono economicamente indipendente. E nel mentre mi auguro di fare l’artista a tempo pieno». C’è da chiedersi come abbia modellato il suo protagonista, magari cercava qualcosa di differente dagli altri fumetti egiziani. «Agli inizi del Duemila la crisi economica seguì la privatizzazione dell’industria e la distribuzione delle poltrone di Mubarak a persone incompetenti. A causa di ciò c’era chi, come un mio amico, veniva sommerso di debiti e protestato dalle banche: doveva fuggire all’estero abbandonando la famiglia. Accanto sorgeva una nuova classe di ricchi che pagavano tasse irrisorie, un’ingiustizia che volevo denunciare».
Ecco il punto, la differenza tra milionari e gente comune. Il disegnatore si ferma un attimo, usa la calma di chi si rialza dopo essere inciampato di nuovo nel pragmatismo. «Questo è il vero problema. Sono figlio di una generazione che ha ascoltato tante belle frasi dai potenti. Ma era solo propaganda con le promesse di un benessere per tutti che invece è in mano a pochi».