NARRATIVA EGIZIANA. AHMED NÀGI
Un giovane dal vorace appetito sessuale svela odi, frustrazioni, famiglie incestuose
La prima domanda è retorica: è ancora possibile nel 2016 andare in galera per un libro? La seconda è terra terra: cosa ci sarà mai tra le pagine di ‘Vita: istruzioni per l’uso’ se è bastata la pubblicazione del suo VI capitolo sul periodico egiziano Akhbar al Adab perché otto mesi fa l’autore Ahmed Nàgi fosse arrestato e condannato a due anni di carcere con l’accusa di oltraggio al pudore? La risposta a questo interrogativo ci porta al vero motivo per cui leggere il romanzo appena tradotto in italiano dall’intraprendente editore il Sirente. Perchè al netto del sostegno dovuto ai letterati imbavagliati, che a marzo ha visto il PEN attribuire a Nàgi il prestigioso premio Barbery Freedom to Write, c’è la letteratura.
La storia raccontata da Nàgi è come una serie di scatole cinesi il cui valore cresce via via che la dimensione diminuisce. Il primo livello riguarda le vicende di Bassam Bahgat, giovane documentarista dal vorace appetito sessuale che all’indomani di un esiziale terremoto viene assunto dalla misteriosa Società degli Urbanisti per riprogettare, e in realtà distruggere, l’anima contradditoria, ma proprio per questo indomita, della capitale egiziana. Oltre Bassam però, c’è l’Egitto contemporaneo.
Descrivendo i miasmi, gli umori, le cicatrici esterne e quelle intime di una Cairo enorme eppure claustrofobica, Nàgi ci suggerisce cos’è che, al netto dei coiti, masturbazioni e full immersion alcoliche tra nebulose di marijuana, ha davvero scatenato l’ira del regime contro di lui.
“La musica è morta negli anni’70” dice a un tratto Rim, l’amante di Bassam che finirà per curare la propria depressione votandosi a una nuova annichilente illusione in cui sdoppiarsi, con e senza hijab. “cazzate-replica lui – Dov’è la tomba della musica?” e lei “Guarda il letamaio che hai intorno”.
Chi ha ucciso la musica al Cairo lasciando gli abitanti in un silenzio sinistro che è sintomo di afasia, infantilismo politico, disperato onanismo fisico e intellettuale? La risposta è nelle infinite allusioni di cui è fin troppo infarcito il romanzo.
C’è l’anima nera della città, epicentro della rivoluzione del 2011 ma anche tanfo di sterco e piramidi di rifiuti, donne pingui ricoperte da strati di stoffe nere e uomini in perenne quanto improduttiva eccitazione sessuale, squallidi micro-bus all’arrembaggio degli incroci fatali, odio, frustrazione, voglia di rivalsa sulla Storia, folli di Dio, trans, artisti, bambini di strada, poliziotti con gli occhiali neri, uomini d’affari obesi, stranieri in motorino in quartieri selezionati tipo Maadi, famiglie incestuose, interi distretti che vivono con la corrente prelevata abusivamente dai lampioni.
C’è il Generale, carica in cui è riassunta l’identità stessa del potere, che “da quando è al timoneha precluso ai giovani l’accesso alla politica”. Ma ci sono anche loro, i “giovani agitati tra folle preconfezionate”, l’ombra di quanto furono i temerari ragazzi di Tahrir, poveri illusi alla deriva laddove non c’è più spazio per la ribellione e “perfino il caos si agita in aree circoscritte o entra nella catena di produzione di un enorme ingranaggio che opera per mantenere l’equilibrio”.
Ci sono i fanatici religiosi, la cui presenza aleggia sull’intero romanzo nelle forme più diverse: il colore verde (come la natura ma anche come l’Islam) che “non comparve alla vigilia della tragedia ma molto prima”, la grande manipolatrice paprika intenzionata a deviare il corso del Nilo che “ti aiuterà a vedere ciò che non si vede e a vedere ciò che non esiste”, la stessa Società degli Urbanisti il cui segreto più importante è “la modalità con cui trasmette il senso di sicurezza , l’avresti avvertito mentre uno di loro ti stringeva la mano sollevandoti il peso dalle spalle, come un bambino piccolo che trona nel grembo materno”. E poi c’è la società civile, alleata con la politica e la religione per impedire “che venga a galla quanto avviene nelle viscere” del Cairo.
Non risparmia nessuno Nàgi nel romanzo illustrato dai feroci disegni di Ayman al Zorqani. E quando arrivi al capitolo VI, il cuore pornografico del libro per cui ufficialmente l’autore è in cella, appare chiaro che lì, come nelle pagine precedenti, la nudità intollerabile per il regime non è quella di Bassam e le sue amanti ma quella dell’Egitto contemporaneo, la religione eterno oppio dei popoli, il regime militare stesso. Il bambino dei vestiti nuovi dell’imperatore non avrebbe oggi alcuna chance al Cairo.
La Stampa/ Tutto Libri di Francesca Paci 22/10/2016