ANSAmed – 01/12/2008
di Luciana Borsatti
ROMA – Eliminare dalle carte di identità degli egiziani la dicitura ‘musulmano’, ‘ebreo’ o ‘cristiano’, perché “non deve avere alcuna importanza sapere a quale religione si appartenga”. È l’obiettivo della campagna condotta in Egitto da vari intellettuali e di cui si fa portavoce anche Khaled Al Khamissi , autore di “Taxi”, vero caso editoriale nel suo Paese, da poco tradotto in italiano con l’Editrice Il Sirente.
Una campagna che per ora si sta combattendo solo sulla stampa e negli incontri pubblici e non ancora in Parlamento, precisa Al Khamissi, ma che dimostra come, sostiene, nella società egiziana l’appartenza religiosa contino meno di quanto sembri.
La dicitura relativa alla fede nelle carte d’identità solleva inoltre, racconta, anche un altro problema: il fatto che il software in uso per i documenti elettronici non permette più l’inserimento di fedi diverse dalla triade dei tre grandi monoteismi, tagliando così fuori in particolare, la piccola minoranza Bahai. Una questione che il governo egiziano “rifiuta di risolvere”, evidenzia. Mentre sull’abolizione del dato sull’appartenza religiosa tout-court – ritenuto particolarmente ‘sensibile’ dalla legislazione sulla privacy nei paesi occidentali – le autorità “rifiutano anche di rispondere”.
Ma l’elemento religioso come elemento di appartenenza identitaria si collega a quella “islamizzazione del Paese”, ricorda ancora Al Kharmissi, che “ha avuto inizio con Sadat nel 1977 ed è proseguita anche con il successore Mubarak e il suo ministro per l’informazione Safwat El Sharif, in carica per 23 anni”, accompagnandosi con “finanziamenti dall’Arabia Saudita e dagli Usa”. Ma le divisioni tra le religioni, secondo Al Khamissi, non appartengono alla “vera anima del popolo egiziano – sottolinea – in cui prevale lo spirito della tolleranza. Il vero egiziano non ha grande interesse per queste questioni, per lui contano i problemi quotidiani della vita e della morte.
Visto che – aggiunge – su una popolazione di 75 milioni il 55% vice al di sotto dei livelli di povertà, il 20% è povero e il 20% sta appena a galla. E il restante 5%, infine, è tanto ricco che non gliene importa proprio di niente”.
Le tensioni religiose dunque “non sono altro che il riflesso di una situazione di crisi economica e sociale che il governo, privo di un progetto per il Paese, non sa risolvere”. Quanto l’appartenenza religiosa sia secondaria nella percezione della gente lo dimostra del resto il fatto, sottolinea ancora lo scrittore citando Lewis Amad, che è solo nei periodi di crisi economica e sociale che i genitori scelgono per i figli nomi di evidente derivazione religiosa. “Quando io andavo a scuola – ridorda lo scrittore 46 enne – non riconoscevo la religione dei miei compagni dal loro nome, ora mia figlia si”.
Convinzioni, quelle di Al Khamissi, che lo scrittore poggia sulle sue frequentazioni con i tassisti del Cairo, protagonisti delle 58 storie che racconta nel suo libro. Perché i tassisti della (circa 220 mila abusivi, precisa, contro 80 mila regolari) sono la vera voce dell’Egitto più popolare, quello che fa più fatica e tirare avanti, e che raccolgono dai loro passeggeri le storie più autentiche della vita nel Paese, trasposte nel libro in una forma che si propone di darne la rappresentazione letteraria più veritiera.
Già pubblicato in inglese e presto anche in spagnolo, greco e francese, “Taxi” in Egitto “è stato un successo – osserva –
che non avrei mai immaginato: in 18 mesi ha venduto oltre 100 mila copie, quando i libri in genere non ne vendono più di 3000. Un successo paragonabile solo a quello di ‘Chicago’ di Ala-Al-Aswani – conclude, citando l’autore di ‘Palazzo Yacoubian’ – e che non mi so spiegare”.