| Il Giornale | Martedì 7 dicembre 2010 | Matteo Sacchi |
Lui si chiama Magdy El Shafee e appena ha messo piede in Italia (ospite ieri di punta di Nues, il Festival internazionale del fumetto Mediterraneo organizzato da Bepi Vigna) ha detto: «È un’emozione grandissima essere nella terra che ha dato i natali ai miei maestri, Milo Manara, Dino Battaglia, Hugo Pratt, Eleuteri Serpieri». E anche noi dovremmo essere onorati di averlo qui, perché anche se a molti italiani il suo nome non dice molto, è uno dei fumettisti più bravi di tutto il Medio oriente. E anche uno dei più coraggiosi visto che i suoi fumetti sono finiti pesantemente sotto il tiro della censura egiziana. Infatti al Cairo, sua città natale, non si trova una sola copia (a meno che non sia clandestina) della sua prima graphic novel, Metro. Il motivo? Questo lavoro pubblicato nel 2008 raccontava con piglio feroce e realistico la vita sotterranea della capitale di Mubarak, denunciandone le ingiustizie sociali e mettendo il dito nella piaga del dispotismo del potere politico (che caratterizza molti stati arabi). Eccone in soldoni la trama. Il protagonista è Shihab, software designer che, complice la crisi economica, non può pagare un debito contratto con uno strozzino e che organizza una rapina in banca per risolvere definitivamente i suoi problemi finanziari. Per realizzare l’impresa criminale si avvarrà di un amico: Mustafà. Quello però lo tradisce e fugge con tutta la refurtiva. Shihab si trova così in un vortice di corruzione politica e finanziaria, trovando l’unica consolazione, molto carnale, nella giornalista Dina. Una trama che per un fumetto occidentale non ha nulla di scabroso ma che a El Shafee e al suo editore, Mohamed Sharqawi, è costata un processo e la condanna alla distruzione di tutte le copie per alcune immagini considerate pornografiche e personaggi troppo rispondenti alle caratteristiche di reali uomini politici. Il fumetto ha avuto però grande successo in Europa e in Italia è stato pubblicato dal piccolo editore il Sirente. El Shafee ne è felice ma dice: «Non pensavo di sollevare un tale vespaio, ma censura e condanna a parte, mi ha molto rincuorato la solidarietà ricevuta… mi ha spinto a restare nel mio Paese». Tanto che del processo subito ricorda soprattutto questo: «Mi è rimasta impressa un’immagine di quella giornata: il volto stupito del giudice, persona peraltro educata e gentile, di fronte a tutta quella folla venuta a sostenermi. Era come se il desiderio di libertà delle persone riuscisse a sconfiggere anche la censura».