IL RAGAZZO DI ALEPPO CHE HA DIPINTO LA GUERRA di Sumia Sukkar
Sumia Sukkar, c’è un ragazzo che ha visto morire i colori di Aleppo
La scrittrice algerino-siriana racconta la guerra attraverso gli occhi di un giovane pittore
di Francesca Paci, “La Stampa” (9 gennaio 2017)
Gli ultimi giorni di Aleppo, dopo quattro anni di assedio governativo aggravato dalla pressione dell’Isis, sono cupi, grigi, le foto che giungono dall’interno raccontano le macerie e la scomparsa dei colori. Aleppo ricorda Sarajevo, si è detto. Ma forse ricorda ancora di più Guernica, la città basca sventrata dai franchisti così come la dipinse memorabilmente Picasso. Si può fingere di non vedere, ma la fine del mondo è lì, a due ore di volo dall’Italia. Chi non si accontenta delle cronache, che faticando a tenere il passo della distruzione profonda inseguono la conta dei morti, può mettere mano oggi a un breve romanzo intitolato “Il ragazzo di Aleppo che ha dipinto la guerra“, l’opera prima della 24enne algerino-siriana Sumia Sukkar in cui senza la presunzione di spiegare l’inspiegabile il piccolo protagonista Adam illustra passo passo la perdita di colore della sua vita.
L’esperimento letterario funziona. Siamo ad Aleppo, un periodo indefinito ma recente. Adam ha 14 anni, ha perso la mamma quando ne aveva 11 e vive ad Aleppo con il padre, i fratelli Khaled e Tariq e l’adorata sorella Yasmine, dalla cui variopinta personalità s’ispira per dipingere quadri su quadri. La sua tavolozza registra pennellata dopo pennellata l’involuzione della tragedia siriana iniziata nel 2011 come pacifica protesta contro il dittatore di Damasco e degenerata nell’inferno in cui, con gli ideali, sono morte almeno 400 mila persone.
Adam dipinge, sogna la compagna di scuola «dagli occhi color Nutella» di cui ha dimenticato il nome, legge Morte a Venezia di Thomas Mann e nota che Gustav Aschenbach ha un nome grigio. La Storia subisce un’accelerata e la sua vita si ferma, imprigionata in un eterno presente dove si annulla tutto, l’amore segreto di Yasmine, l’arrivo in famiglia della bellissima cugina Amira rimasta vedova, il ricordo delle vacanze al mare, la militanza dei fratelli sempre più braccati dai governativi, i vicini di casa sterminati in salotto e lasciati a marcire nel loro sangue, la follia incipiente del padre che prende a chiamare tutti con il nome della moglie defunta, Maha.
«Non so chi sono i buoni e chi sono i cattivi» dice a un certo punto il protagonista ripetendo un pensiero della sorella. Aleppo è un fantasma così come le bandiere dei ribelli, la gente viene giustiziata a raffica, al mercato bersagliato dai combattimenti si trovano solo datteri dal sapore antico. Ormai imperversa il nero. Quando degli uomini “biondi e grandi” rapiscono Yasmine sotto i suoi occhi impotenti Adam boccheggia: «Ho il cuore nello stomaco (…). E’ come se il catrame bollente ci fosse calato sopra».
I colori incalzano la lettura e la guerra siriana non sembra più quell’eco lontana in sottofondo alle nostre pene referendarie. Yasmine nelle mani dei suoi aguzzini subisce le torture più atroci e si tinge di indaco, fin quando viene liberata da un gruppo di ribelli che inneggiano a un Dio della cui esistenza si fa fatica a convincersi. Adam dipinge come un forsennato, immagina di sentire l’amato George Orwell suggerirgli che il sangue è il sostituivo della pittura e ne raccoglie in strada per cancellare almeno dalle sue tele il grigio che gradualmente avvolge la città e la vita.
L’epilogo del libro non è ancora l’epilogo di Aleppo, almeno non mentre scriviamo. Il protagonista si aggrappa a un gatto salvato dai connazionali affamati che vorrebbero nutrirsene e si mette in cammino verso Damasco con la sorella e quanto resta della famiglia. La strada è lunga in tutti i sensi, la salvezza una chimera, il ricordo dell’inno nazionale un requiem disperato, vita e sogno si confondono e confondono il lettore. «Perché c’è una rivoluzione? (…). Non c’è più colore ad Aleppo. Tutto è grigio, anche noi». Chiuso il libro resta la Storia, difficile fare ancora finta di niente.
All’inizio (del libro) fu l’arancione. Sono passati 11 mesi da quando i primi attivisti ispirati da piazza Tahrir hanno portato in strada la richiesta di democrazia. Il mondo di Adam è ancora in piedi, in casa si mangiano verdure ripiene e circola l’aroma del caffè, la tv diffonde la disinformazione del regime ma funziona, la finestra inquadra l’abbandono dell’un tempo vivace caffè Shams eppure l’aria profuma ancora di vita. Poi la scuola chiude, l’acqua e l’elettricità cominciano a scarseggiare, il frigorifero si svuota, per strada compaiono cadaveri scomposti e Adam vede viola, lo stesso viola che aveva visto emanare dalla bara della mamma. I dimostranti dilagano, i fratelli e la sorella sono dei loro, gli slogan ripetono «Abbasso il regime», si spara, esplodono le bombe e si lasciano dietro macerie su macerie, il viola si mescola al rosso del sangue.