| Limes | Mercoledì 2 febbraio 2011 | Azzurra Merignolo |
In questi giorni scende in piazza una generazione di attivisti che si organizza sul web ed è aliena alle tradizionali divisioni politiche e religiose. L’opinione di bloggers ed esperti. La vicenda del romanzo Metro
IL CAIRO. I giorni passano, i morti e gli arresti aumentano, ma il governo non se ne va, apparentemente impenetrabile al cambiamento e sordo alle richieste della popolazione.
I manifestanti acquisiscono entusiasmo e cresce negli occhi degli egiziani, umiliati e oppressi per troppi anni, la speranza in un cambiamento storico.
I più adulti ripetono alla nuova generazione che manifestazioni di queste dimensioni non si vedono dagli anni ’70, quando erano stati i movimenti studenteschi a scaldare le strade. Alcuni storici dicono che è addirittura dal ‘52, periodo nel quale gli egiziani lottavano contro gli occupanti inglesi, che non si vedeva così tanta gente per strada.
I manifestanti del 2011 sono una nuova generazione di attivisti, persone qualunque, di diversi strati sociali, differenti culti e appartenenti a diversi movimenti politici. Non ci sono slogan religiosi nè divisioni settarie. Chiedono tutti la stessa cosa: il cambiamento del paese.
Fino a ora si sono organizzati soprattutto attraverso la sfera virtuale, nella quale si sono incontrati, hanno pubblicizzato la loro azione e hanno organizzato e testimoniato le loro sommosse. Al debutto in strada si sono trovati inizialmente davanti a plotoni di poliziotti in assetto di guerra pronti a bloccarli, ma anche il ruolo delle forze di sicurezza potrebbe cambiare.
Storicamente non sono state poche le rivoluzioni nelle quali la polizia ha finito per solidarizzare con i manifestanti, soprattutto quando i regimi, una volta iniziata la protesta, non facevano niente per dialogare con il popolo e per trovare risposta alle loro richieste.
È successo in Romania, in Iran e poche settimane fa anche in Tunisia. Certo l’Egitto è diverso dal paese maghrebino, col quale condivide i problemi, e le rivendicazioni di chi scende in piazza oggi sono il frutto di un desiderio di riforma che covava da tanto tempo.
Ma “i fratelli tunisini ci hanno ispirato, ci hanno fatto capire che tutto nella vita ha una fine, anche le peggiori dittature che sembrano impossibili da sradicare” dice Ahmed Nagi, scrittore, giornalista e blogger egiziano già attivo dal 2005 quando il movimento di Kifaya (“basta”), avendone letteralmente abbastanza del regime del presidente Hosni Mubarak, aveva cercato di voltare pagina.
Non ci era riuscito, ma aveva gettato i primi semi. Gli egiziani si erano in parte riappropriati del loro diritto di manifestare e il muro di paura che impediva di protestare contro il dittatore iniziava a sgretolarsi. “Ora questo muro è crollato. Gli egiziani si sono liberati delle loro catene, hanno abbattuto le barriere mentali che li tenevano schiavi del regime e hanno capito che sono pronti per un cambiamento” dice Magdi Shafee, caricaturista e blogger molto scomodo.
La sua vicenda mostra chiaramente fino a che punto Mubarak sia in grado di limitare il diritto di espressione della sua gente. Shafee è l’autore di Metro, il primo romanzo a fumetti arabo entrato sul mercato egiziano nel 2008. Andato subito a ruba, Metro è stato sequestrato dalla polizia morale per alcune immagini considerate porno. Il capo della casa editrice é finito prima in manette e poi davanti al tribunale insieme a Shafee.
Più che per i corpi che metteva a nudo, Metro è stato ritirato dal commercio perché svelava la natura dispotica del regime egiziano, questione troppo imbarazzante per essere sotto gli occhi di tutti. “Per il nostro paese è giunta l’ora di uscire dallo stallo e di farlo con le proprie mani. È in ballo il nostro futuro.
Il sostegno che stiamo ricevendo da tutto il mondo è davvero apprezzabile e ci dona coraggio e voglia di andare avanti. Non ci aspettavamo tale supporto, questo mostra che la gente non sempre la pensa come i propri governanti che danno sostegno al regime. L’opinione delle persone è diversa da quella dei politici. Nella rete è visibile questa differenza, si vede che la gente non appoggia la gang di Mubarak “ continua Shafee.
Prima che il governo spegnesse twitter, staccasse la spina a Facebook e iniziasse a far singhiozzare la connessione a internet, gli egiziani ricevevano infatti messaggi solidali da tutto il mondo – con l’effetto di imbarazzare non solo Mubarak ma anche i governi che in Occidente da anni lo sostengono.
“Al vertice del paese c’è da decenni una coalizione di uomini di affari che controlla l’intera nazione con strumenti molto tradizionali. Una gang di corrotti che detiene il potere e lo gestisce in maniera anacronistica” spiega Nabil Abdel Fattah, direttore del semi-governativo Centro di studi politici e strategici di Al Ahram.
È anche per questo che le iniziali dichiarazioni del segretario di Stato americano hanno deluso i manifestanti. Al termine della prima giornata della collera, Hilary Clinton ha chiesto a tutti di usare moderazione dicendosi convinta della stabilità del regime di Mubarak e delle sue intenzioni di rispondere alle richieste avanzate dalla popolazione.
“Ventinove anni di leggi di emergenza, un parlamento che è una beffa e un presidente con un potere imperiale”. Questo il salato conto che da decenni pagano gli egiziani secondo Mohammed el-Baradei, ex segretario dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e possibile candidato alle prossime elezioni.
Il regime, intimorito dall’escalation degli eventi, prima della manifestazione del 28 gennaio aveva addirittura chiuso alcune grandi moschee, innervosendo ulteriormente molti fedeli musulmani per i quali la preghiera del venerdì resta l’appuntamento centrale della settimana.
A scendere in piazza sono anche dei veri e propri movimenti politici che stanno cercando di prendere il controllo delle dimostrazioni. Difficile capire cosa accadrà, come si organizzeranno gli attivisti e fino a che punto i movimenti di opposizione più strutturati potranno prendere il controllo delle manifestazioni.
“C’è una netta separazione tra le due sfere”, commenta Abdel Fattah. “I movimenti politici, ufficiali o non, non riusciranno a prendere il controllo, ormai sono fuori, esclusi da questi eventi. Davanti a noi abbiamo un nuovo movimento, una nuova generazione globale che ha una nuova cultura e si serve di nuovi strumenti”.