| La Repubblica | Sabato 16 giugno 2012 | Donatella Alfonso |
LA LIBERTÀ ha sempre un prezzo ma, avverte Khaled al Khamissi, scrittore e regista cairota che con il suo bestseller Taxi (tradotto in Italia da “il Sirente“) ha dato voce a proteste, sentimenti, desideri del popolo egiziano negli ultimi anni del regime di Hosni Mubarak, «ormai è iniziato un processo irreversibile, in Egitto come negli altri Paesi arabi. Possono anche venire i militari, può governare Shafiq, ma quella che è già una forte trasformazione sociale diventerà, nell’ arco di due o tre anni, anche politica. È una rivoluzione senza partiti, programmi, leader, ma è un percorso di libertà. La strada è lunga, aspettateci: tra dieci anni ci vedrete». Khaled al Khamissi, si può parlare di un golpe in Egitto? «La stampa occidentale adora i termini forti, ma io non la penso così. Se devo dire la verità, non me ne importa nulla di quello che accade sulla cima della piramide, perché io guardo alla base della piramide. Non interessa a me e non interessa alla gente. Che torni Shafiq, che i militari prendano il potere… sarà solo un problema di vertice. I cambiamenti sociali ormai sono irreversibili». Ritorno dei vecchi governanti, vittoria dell’ Islam radicale un po’ dappertutto: la primavera arabaè finita? «Lo ripeto dal gennaio del 2011: non c’ è nessuna primavera araba, ma un cambiamento sociale che continua e porterà a una vera trasformazione di tutti i nostri Paesi entro una decina d’ anni. La gente sa che ci vuole tempo, ma ha fiducia nel lungo periodo. Non teme né Shafiq, né i Fratelli musulmani perché crede nella libertà, che gli islamisti invece combattono. Shafiq vuole venire? Bene, che venga. Non cambierà quanto sta accadendo alla base della società». Da quanto lei dice sembra che i militari siano quasi dei garanti della trasformazione: non teme invece una guerra civile come ci fu in Algeria? «No, è passato molto tempo, la storia è diversa, c’ è Internet, c’ è la possibilità di esprimersi e il coraggio di farlo. Inoltre, non c’ è un nuovo potere islamico, i movimenti radicali, negli anni, sono stati sostenuti e finanziati sia da Sadat che, soprattutto, da Mubarak. E, per quanto riguarda il Consiglio supremo delle Forze armate, non vedo la possibilità di una sfida tra il ritorno al potere dell’ Ancien régime e un nuovo potere islamico. Ci sono interessi politici e finanziari da difendere, serve una stabilità». Pensa a un ruolo degli intellettuali in questo percorso di crescita democratica? «No, gli intellettuali non hanno un peso sufficiente. È la classe media, e soprattutto sono i giovani, perché il 60 per cento degli egiziani ha meno di 25 anni, che non intendono accettare né la formalità del sistema di Mubarak né di quello dei Fratelli musulmani. Si andrà progressivamente verso una concretizzazione politica di quanto si sta già facendo sotto il profilo sociale». Lei, quindi, che futuro vede per il suo Paese? «Io sono ottimista. Il cambiamento e la libertà saranno al potere tra una decina d’ anni. Aspettateci».