| L’Opinione delle Libertà | Sabato 15 maggio 2010 | Maria Antonietta Fontana |
Eneida – laureata in Estetica, esperta di letteratura per ragazzi – studia da anni quello che lei definisce l“equivoco freudiano del mito di Edipo”. Tutta la mitologia antica, pre-edipica, corrispondente alla società matriarcale, si basa su una serie di unioni incestuose (a cominciare dalle nozze di Zeus ed Hera) che erano invece vissute come perfettamente normali. Ed infatti, tra miti più e meno noti rivisitati nel libro, Eneida chiude il suo excursus con il mito di Arca – un mito dell’Albania sud-orientale, in cui il protagonista giunge come Edipo a sposare inconsapevolmente la propria madre ma, a differenza di Edipo, quando il fatto viene alla luce non subentra un senso di condanna e colpevolezza: è la sorte che ha giocato un brutto tiro ad Arca ed alla madre, ed i due superano la questione ricominciando una nuova vita separandosi: anzi, la madre procurerà al figlio-sposo una nuova sposa. Tuttavia, citando di nuovo la scrittrice, dobbiamo aver ben presente che “nel mito non si dice cosa è il bene e cosa è il male, cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma si regalano gli strumenti per affrontare autonomamente tali problematiche”. Tenuta presente questa chiave di lettura, quest’opera si colloca chiaramente nel contesto di una valorizzazione e un’interpretazione delle radici culturali che ogni educatore dovrebbe attentamente recuperare e restituire.
Eneida, quale è stata la gestazione di questo libro? Come è nato?
Ho risalito sempre, dall’infanzia, l’origine dei fenomeni, degli accadimenti storici e politici e facendolo, mi stupivo per come la verità e la realtà fossero diverse da come apparivano in un primo momento. Analisi, ricerca di innumerevoli fonti e pazienza nel ricomporre un mosaico con molti pezzi mancanti per trovarsi illuminata dall’apparizione: la Verità, un’ epifania senza congetture politiche e sociali. L’argomento del mito è nato verso il 2000, quando mi trovai davanti alla figura di Edipo, e mi resi conto che Freud aveva costruito una teoria importante su informazioni non corrette. Indagai in tantissimi testi che confermarono l’errore di trovare in Edipo un eroe mitologico (Edipo invece è un eroe leggendario). Allora dedicai la mia tesi in filosofia morale alla ricerca dell’origine dell’errore di Freud. Strada facendo, incontrai una versione originale del mito del matrimonio con la madre. Rimasi affascinata. Dopo Edipo pensai di verificare se anche altri miti importanti fossero stati male interpretati nel corso della storia politica della società. In Narciso mi trovai davanti ad un equivoco ancora più grande di quello di Edipo. Infatti, L’amore di Narciso racconta la versione staccata dai pregiudizi della figura mitologica del dio fiore. Si viene a sapere che l’amore di Narciso per se stesso è un amore sano, l’autoinnamoramento che l’essere umano prova verso sé nei primi anni di vita. La morte di Narciso – il dio-fanciullo-fiore, il suo suicidio, rappresenta la morte dell’infanzia e la nascita dell’adulto. Io credo che raccontando i miti alle nuove generazioni la società del futuro sarebbe migliore per il semplice motivo che tutti gli archetipi sono una guida allo spirito, una scuola all’espressione tramite il pensiero. Oggi giorno quasi tutti pensano con le parole e non con il pensiero…
Hai incontrato difficoltà nel proporlo agli editori per la pubblicazione?
Gli editori mi hanno risposto quasi tutti che l’opera è molto bella e interessante ma che non era prevista nel loro catalogo. Tutti la stessa frase, dalle più importanti case editrici alle meno: certi con molta gentilezza, e altri con rabbia e furore. Per non parlare di quelle case editrici che chiedono soldi in cambio della pubblicazione: si tratta di vere e proprie tipografie, e penso che stanno attentando alla vita dell’editoria e dei giovani autori… Ne conservo una interessante corrispondenza con i signori dell’editoria. Un responsabile di una nota casa editrice, forse era anche laureato, nel rispondere ha chiamato i miti “favole”. Poi ho incontrato “Il Sirente”, i giovani editori che mi hanno risposto dopo avere letto il libro. Hanno visto nel mio libro un valido progetto editoriale e ci hanno creduto, perciò hanno investito le loro risorse nella pubblicazione dei racconti dell’archetipo.
Quale è oggi il senso della rivisitazione del mito che tu ci proponi? Ha ancora un senso proporre allegorie psichiche apparentemente così lontane da noi per aiutarci a scoprire il nostro inconscio?
Ecco perché le cose non sono come appaiono! I miti e i loro archetipi, cioè, non solo il loro racconto ma di più il fenomeno che esso rappresenta, ci raccontano del futuro e non del passato. Gli archetipi sono il senso se mai dovesse esisterne uno. Finché le persone nasceranno, vivranno e moriranno, avranno bisogno di essere salvate dalla mancanza del senso che circonda il fenomeno della morte. L’archetipo non tiene conto del tempo, nasce e vive in ogni individuo involontariamente come tutte le altre funzioni fisiologiche.
Come un genitore di oggi può avvicinare i propri figli al mito, appassionandoli e non fuorviando la funzione che i miti stessi ricoprono?
In questo progetto educativo il genitore non ha il ruolo di educatore, anzi sarà lui stesso ad essere educato dal figlio, da quello che il bambino sa e l’adulto ha dimenticato da molto tempo. Nell’introduzione si parla a lungo di questo, si parla dello status del puer e del come l’adulto deve riconoscerlo e rispettarlo. I racconti sono stati concepiti come un vero linguaggio che darebbe vita al dialogo. Cioè, per avere un dialogo, serve che ci sia l’ascolto. Ecco come inizia un’esercitazione psicofisica all’ascolto: ascolta il bambino e ascolta l’adulto, ognuno comunica con l’altro dal proprio status. La piaga sociale, invisibile, del soliloquio (monologo) collettivo, tipico delle società che basano la loro prosperità nel consumo e nella vanità, appiattisce l’individuo e lo schiaccia sotto la depressione. Ecco perché il libro dell’archetipo parla del concetto del tempo, del consumo della vita e della capacità di produrre piacere e felicità. Questo naturalmente a livello sotterraneo, perché nella superficie rimane una narrazione divertente: si parla di un mondo in cui ogni albero nasconde una ninfa, ogni fiume o roccia ha i suoi abitanti magici, si racconta dei patti antichi tra uomini e dei, e con questo si creano le basi per avere una concezione politica della storia nell’individuo del futuro. Per non crescere sordi e ciechi ma attivi serve la conoscenza dei concetti basilari, e serve una messa in atto della capacità del giudizio in ogni individuo nei suoi primi passi. I ragazzi devono conoscere l’infanzia dell’Europa e del mondo stesso, gli adulti prenderanno una pausa dal loro calendario impegnativo e rimarranno affascinati dalla vita.
Quale sarà la tua prossima fatica letteraria?
Le fatiche sono altre. Scrivere letteratura è come estrapolare gioielli dalle cave del corpo, come rintracciare tesori che stanno in qualche abisso tra l’anima e la carne da chi sa quanto tempo. Sto scrivendo un romanzo. La protagonista si sente in trappola nella metropoli romana, sfugge allo zoccolo di ferro della collettività. Descrivo il rapporto sofferto tra un individuo e la società, l’antagonismo inconciliabile nei valori prestabiliti degli ultimi 60 anni. Sto cercando di delineare la fisionomia di colui che combatte per rimanere libero, in un sistema che ingloba tutto. Il sistema si nutre della libertà dei propri componenti. È arrivato il momento di sconvolgere il sistema e l’eroe ha il compito di riscrivere le regole…