| AGI | Sabato 8 agosto 2009 | Antonio Lucaroni |
Nel 13esimo secolo Marco Polo narra di cammellieri che esportavano petrolio da Baku, la capitale dell’Azerbaigian, nella zona del Mar Caspio, una regione al centro di contese etniche e belliche gia’ dai tempi di Alessandro il Grande. Un greggio denso, odoroso, non raffinato, esportato in tutto il Mediterraneo, fino a Baghdad, per essere usato come mezzo di illuminazione e come balsamo. Un “oro nero” che in quella localita’ era ed e’ particolarmente abbondante, fino al punto di sgorgare naturalmente dal terreno. Da quel momento il petrolio entra prepotentemente nella storia dell’uomo, marchiandone ineludibilmente lo sviluppo economico. E quell’area geografica, il Mar Caspio, diventa il crogiuolo di pulsioni di grandezza e di volonta’ di dominio ma anche di grandi aspirazioni di progresso e di crescita. La storia del petrolio del Caspio, e piu’ in generale della zona del Caucaso, ha le sue origini nel diciannovesimo secolo. La “febbre del Caspio” era cominciata gia’ al tempo degli Zar; quando si scavarono i primi pozzi di petrolio vicino a Baku, nella regione dell’Azerbajan, e da quel momento fasi di ricchezza e prosperita’ si alternano a depressione e poverta’. Ma quella regione diventa anche uno scenario sul quale si confrontano e spesso si scontrano, gli interessi e le aspettative delle grandi potenze internazionali: un campo da gioco dove tutti i colpi sono ammessi. E’ questo il grande affresco che viene tratteggiato dal libro di Steve LeVine “Il petrolio e la gloria. La corsa al dominio e alle ricchezze della regione del Mar Caspio“, edizioni ‘il Sirente‘. Un excursus storico, quello di LeVine, che arriva fino ai giorni scorsi, scritto con grande attenzione ai personaggi, alle storie avventurose che hanno caratterizzato, negli anni, il confronto tra le Nazioni per il controllo dell’oro nero. Una battaglia condotta spesso in modo spregiudicato, caratterizzato da un clima da spy-story di inizio secolo, poi da ‘guerra fredda’, infine dall’ingresso sulla scena del mondo dell’alta finanza e delle superpotenze economiche.
Un libro avvincente, che squarcia il velo su un mondo duro e senza scrupoli e che mostra – guardando con una lente d’ingrandimento le vicende legate al Mar Caspio – quanto la ricerca del petrolio e, ancor di piu’, i tentativi di appropriarsene, abbiano influenzato il destino dell’umanita’. In questo senso LeVine sfrutta la sua formazione professionale – giornalista di lungo corso che ha lavorato proprio in quelle zone – per ricostruire, come in un giallo, la scena del delitto, i protagonisti, i retroscena e i segreti che muovono i tanti ‘attori’ di questo libro, a meta’ strada fra l’inchiesta e il romanzo. Forse l’unico appunto che si puo’ muovere, e’ che l’autore propone una visione ‘anglocentrica’ dell’intera vicenda, mettendo sullo scacchiere il ruolo della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e di una Russia all’affannosa riconquista di un ruolo da superpotenza sfruttando le risorse energetiche. Nel libro, insomma, manca un po’ il ruolo esercitato dagli altri Paesi grandi produttori di petrolio, o dai grandi Paesi consumatori di energia – come la Cina e l’India, la cui immensa domanda di petrolio e gas modifica e modifichera’ sempre di piu’ il mercato dell’energia – o, ancora, dagli outsider che, tuttavia, avevano capito le potenzialita’ di sfruttamento di quella regione. E’ il caso di Enrico Mattei che fin dagli Anni ’50 – attraverso l’Agip – aveva allacciato rapporti e sottoscritto contratti con l’allora Urss. E non a caso l’autore conclude la sua opera con un esplicito richiamo – che sa un po’ di nostalgia o di visione schematica del mondo – al ‘duello’ Russia-Usa per il dominio politico ed economico.