| Il paradiso degli orchi | Giovedì 16 aprile 2009 | Stefania Bonura |
Nella seconda metà degli anni Novanta, il governo egiziano emanò una legge che consentiva di tramutare tutte le vecchie auto in taxi. Stiamo parlando di “residuati bellici” come la Shalin, la Lada, la Fiat 1400 e 1500, la Peugeot 504. Una folla di disoccupati confluì improvvisamente nella classe dei tassisti e un esercito di catorci cominciò a intasare le strade del Cairo. Auto logore, sfasciate e sudice, con a bordo autisti che lavorano come schiavi, ci dice nella “premessa indispensabile” l’autore.
Khaled Al Khamisi ha raccolto e registrato tra l’aprile del 2005 e il marzo del 2006, a bordo dei taxi della sua città, le storie, gli umori e i malumori della “indomabile” megalopoli. Ne è venuto fuori un libro, Taxi, pubblicato in Egitto nel 2007 con grande riscontro di lettori e ora portato in Italia grazie all’editrice Il Sirente e alla meticolosa opera di traduzione di Ernesto Pagano.
Mi trovavo a midan Safir, alla vecchia Cairo e diversi taxi mi sfilarono davanti: passa il primo, poi il secondo… decido di fermare il terzo. Chi è stato al Cairo sa bene che bastano pochi minuti a piedi per vedersi affiancati da due, tre o più carrette nere. Pensi di essere piombato in una vecchia foto di famiglia, e invece ti trovi in una delle più affollate città dell’era contemporanea che conta circa venti milioni di abitanti. E ottantamila taxi. Gli egiziani la chiamano l’invasione dei tucusa, il mestiere di chi non ha mestiere. Non è strano trovare al volante uomini di diversa età, religione, etnia, estrazione sociale, culturale: anziani, giovanissimi, studenti, padri di famiglia, contrabbandieri, broker, musulmani, copti, nubiani, “usciti fuori” a un certo punto “da ogni buco per farsi convertire la macchina”. Ad accomunarli, oltre alla carcassa che si trascinano quotidianamente lungo il fitto e congestionato intreccio urbano, è la lotta per la sopravvivenza: truffe, rapine, multe, tasse, blocchi stradali, sbirri mangia mazzette, calvari burocratici, ore e ore di servizio ininterrotto, il sedile che ti spacca la schiena, la rata mensile dell’auto… E sarebbe niente se non ci si mettessero anche gli jinn… e le donne!
Un vociare ininterrotto di clacson si alterna a confidenze, preghiere, lamentazioni, scazzi e vecchi motivi di Umm Kulthum. Conversazioni e soliloqui che spaziano dall’arabo coranico al dialetto popolare. Un linguaggio che erompe dai marciapiedi e dai vicoli e che il traduttore ha sapientemente riportato in un italiano colloquiale e dialettale. Ogni taxi è un racconto che si scioglie nell’asfalto rovente e si dissolve in una nuvola di smog. Ogni storia, e il libro ne raccoglie una sessantina, è un faro acceso su una città in continuo movimento. Una società di miserabili e di dannati, sì, ma anche di angeli neri e di vecchi così vecchi che avrebbero indotto Jacques Brel a cancellare i suoi stessi versi: quanto è dolce la morte paragonata alla vecchiaia. Morire, in qualsiasi maniera, è molto meglio che invecchiare.