Tratto dalla raccolta di racconti “Il matto di piazza della Libertà” di Hassan Blasim, traduzione dall’arabo di Barbara Teresi
“La cattiva abitudine di spogliarsi”
Come sapete, anche la paura ha un odore… Mentre mi raccontava la sua storia, quell’uomo emanava un odore di pesce affumicato. Mi rendevo conto che era sincero, onesto, ma la sua calma mi sembrava affettata. Non capita spesso la fortuna di incontrare una persona con una storia interessante e avvincente come quella di quest’uomo originale. Già, meglio dire “originale” che “folle”. Perché l’originalità consiste nel parlare agli altri dei propri incubi, malgrado la paura e il dolore.
Accadde l’inverno scorso. Rincasavo dopo il mio solito giro in centro, un giro a zonzo, il cui unico scopo è racimolare qualcosa. In genere raccattavo quel che si può trovare nei bar malfamati: quattro chiacchiere, una fica, una birra gratis, uno spinello, delle caotiche discussioni su questioni politi- che, una rissa con un altro ubriaco, oppure semplicemente la possibilità di molestare gli altri, così, per divertimento, con la scusa di essere ubriaco. Lo sai, l’importante è che la giornata trascorra e che in essa ci sia un qualche contatto umano, per quanto piccolo. Il giorno in cui è apparso il lupo ho conosciuto una ragazza strana… un gufo, un uccello del malaugurio. Tu ci credi nelle facce che portano sfiga? A volte si in- contrano facce che non sembrano neppure reali, somigliano piuttosto alle cose che si vedono nei sogni. Tu sei un artista, puoi figurarti facilmente quel che intendo dire, no? Voi artisti coltivate i sogni… Eh, sì! Io credo nei sogni più di quanto non creda in Dio. I sogni ti entrano dentro e poi vanno via, per tornare con nuovi frutti. Dio, invece, è soltanto un deserto sconfinato, nient’altro. Riesci a immaginare che un pittore indiano, a Delhi, in questo momento sta lavorando a un qualche soggetto che è lo stesso di cui si compone il sogno di un uomo che sta dormendo in una città del Texas? ok, fanculo tutto e tutti… Ma di certo sarai d’accordo con me sul fatto che tutte le arti si incontrano in questo modo. E forse anche l’amore e l’infelicità. Se, ad esempio, un poeta finlandese scrive una poesia sulla solitudine, questa poesia sarà il sogno di un’altra persona che dorme in un altro an- golo del mondo. Se ci fosse un motore di ricerca speciale per i sogni, come Google, allora tutti i sognatori potrebbe- ro rintracciare i loro sogni nelle opere d’arte. Al sognatore basterebbe inserire una parola o una breve sequenza di parole tratte dal proprio sogno per veder comparire migliaia di risultati nel motore di ricerca. Perfezionando la ricerca giungerebbe al suo sogno e così verrebbe a sapere cos’è stato in origine: un dipinto, un pezzo musicale o una battuta di un’opera teatrale. Inoltre potrebbe scoprire da quale Paese proviene il suo sogno. Sì… Lo sai… la vita forse… ok, fanculo tutto e tutti!
Quella ragazza aveva una faccia incredibile, era come se l’ago di una macchina per cucire l’avesse trafitta per ore e ore. La sua pelle era puntellata da dozzine di piccoli fori tondi. Prima mi ha detto di essere spagnola e poi, dopo cinque minuti, ha affermato che sua madre è egiziana e suo padre finlandese. Conosceva giusto quattro parole in arabo, e tutte avevano a che fare con gli organi sessuali, oppure era- no bestemmie, sempre contenenti la parola merda. Quella troia! Si è scolata tre boccali di birra a mie spese e poi si è messa ad aspettare in un angolo buio. Cosa aspettava secondo te? Di certo un altro cazzo, disposto a sborsare di più. Io avevo perso 20 euro alla macchinetta del poker. Mi sentivo esausto e affamato. Allora, facendo un cenno alla tipa dal viso malauguroso, con gesto teatrale e ironico, uscii gridando come se mi stessi rivolgendo a un vasto pubblico: “Viva la vita!”
Sulla via di casa, non riuscivo a togliermi dalla testa il volto di quella ragazza. Mi sembrava di averla già vista, tanto tempo fa, in qualche mercato popolare, al mio Paese. Non so perché, ma me la figuravo seduta a vendere peperoni ver- di e rossi, avvolta in un lungo mantello nero.
Sono sicuro che quel giorno tre o quattro cose insieme abbiano contribuito a portarmi sfortuna e cacciarmi in quel pasticcio. Sta’ a sentire… Non crederai alle tue orecchie! Come al solito, quando sono arrivato a casa mi sono spoglia- to e sono rimasto completamente nudo. Stavo andando in bagno, quando l’ho visto sbucare fuori dal soggiorno e correre verso di me. Con un balzo mi sono fiondato in bagno e ho chiuso a chiave la porta. Ero come uno che avesse appena visto l’angelo della morte. Era un lupo, giuro! Un lupo, an- che se tu dirai che forse era un cane…
All’inizio, quando ho guardato dal buco della serratura, non c’era. Tremavo. Per degli interminabili minuti regnò un silenzio terrificante. Dopo aver guardato diverse volte dal buco della serratura, fui certo che era un lupo. Prima lo sentii ansimare, poi lo vidi: stava annusando i miei pantaloni e le mie mutande davanti alla porta di casa. Poi si accoccolò, gli occhi puntati tristemente sulla porta del bagno.
Un lupo in carne e ossa, in città, in un condominio, e proprio nel mio appartamento! Seduto sul water, cominciai a pensare: “Nessuno, a parte me, ha le chiavi di casa; io abito al quarto piano, e anche ipotizzando che… ok… che sia riuscito a volare… e ad arrivare in balcone, ebbene la portafinestra del balcone, in soggiorno, sta sempre chiusa!” Mi scappò la pipì senza che me ne rendessi conto. Ero come paralizzato, nudo sulla tazza del cesso e con un lupo in casa. Che scherzo era quello?
Cominciai a rimproverare me stesso, a insultarmi anche: “Perché ogni volta che entro in casa mi spoglio come una puttana? Se avessi avuto con me il cellulare avrei chiamato la polizia e tutto sarebbe finito! Sono proprio un buono a nulla! Ubriacone, disoccupato, sto tutto il tempo in giro per i bar della città cercando di procurarmi di che vivere, ma da chi, poi? Da altri disgraziati che non fanno meno schifo di me! Da gente cui il mondo nuovo e scintillante ha tirato via il tappeto da sotto i piedi! Prendi per esempio una grassona di quasi quarant’anni in cerca di un rapporto occasionale con un immigrato ormai del tutto arrugginito. Noi non abbiamo il culo sodo e appetitoso, abbiamo soltanto un buco per la merda! Fanculo tutto e tutti! Persino la ragazza che ho incontrato oggi, quella col viso butterato, non si è accontentata del mio invito. Si è spostata in un altro tavolino e si è messa ad aspettare uno stronzo migliore. Se avesse accettato di scopare con me, sarebbe venuta qui nel mio appartamento e sarebbe fuggita a chiamare la polizia o i vicini. o forse il lupo l’avrebbe sbranata. Ma quale lupo? Non è possibile, devo essermi sbagliato, forse è soltanto un’allucinazione…” Così dicevo alla mia immagine riflessa nello specchio.
Tornai a guardare dal buco della serratura. Era sempre accucciato al suo posto. ormai mancavano poche ore all’alba. Pensai che il giorno dopo forse qualcuno si sarebbe preoccupato per la mia assenza. Era senz’altro un’idea ridicola, una consolazione fittizia, dato che da anni vivo da solo e non conosco nessuno, a parte quegli spaventapasseri dei bar. Quelli sono come me: soli, in cerca di qualcosa in giro per i bar. E se non trovano niente, allora se ne tornano nei loro sporchi letti a farsi divorare dalla tristezza e dalla notte. Gli unici che potrebbero bussare alla mia porta sono i testimoni di Geova. Ma anche quelli sono spariti da un pezzo. Forse li ho ridotti alla disperazione a forza di farmi continuamente beffe del loro Dio. Mi sommergevano con le loro rivi- ste, anche se per divertirmi bastava una sola frase di quelle montagne di libri e giornali. La cosa divertente nelle loro riviste erano quei tentativi disperati di collegare le scoperte scientifiche con le storie della Bibbia. Quelle che venivano a farmi visita erano due belle ragazze. La mia fantasia malata mi spingeva ad accoglierle con entusiasmo. Credevo che, se avessi instaurato con loro un vero rapporto d’amicizia, ma- gari poi il tutto sarebbe culminato in un focoso amplesso. Te lo immagini? Due ragazze testimoni di Geova, nude, nel mio letto… Una mi succhia il cazzo e l’altra offre il suo clitoride alla mia lingua mentre recita passi della Bibbia…
Parlavamo di molte cose. L’argomento che mi ha impressionato di più è che i testimoni di Geova rifiutano, come gli ebrei, le trasfusioni di sangue. Io scherzavo con loro, dicevo che il sangue è delizioso, è la bevanda dei vampiri. Parlavo dell’importanza del sangue. “Il direttore del centro di bioetica dell’Università della Pennsylvania afferma con gran freddezza scientifica: “Il sangue sta alla salute come il petrolio sta ai trasporti”. Pensate: mentre ogni anno miliardi di barili di petrolio vengono estratti dal sottosuolo per soddisfare il fabbisogno mondiale di carburante, dal corpo umano vengono prelevate circa novanta milioni di unità di sangue nella speranza di aiutare chi sta male. Questa cifra impressionante rappresenta il volume di sangue di circa otto milioni di persone. Ciononostante, proprio come il petrolio, a quanto pare anche il sangue scarseggia. La comunità me- dica mondiale avverte di questa carenza.” Questo cocktail di informazioni scientifiche o, per essere più precisi, le mie chiacchiere serie, avevano lo scopo di far capire alle due belle testimoni di Geova che io ero una persona davvero impor- tante nel mio Paese. Avevo detto di conoscere perfettamente l’ebraico e di aver tradotto alcuni fascicoli segreti per il Ministero della Difesa e per i servizi di intelligence del mio Paese, aggiungendo qualche dettaglio poliziesco e qualche avventura legata alla mia professione. Con loro blateravo a lungo e, tra il serio e il faceto, nel corso di quelle conversazioni tiravo in ballo tutto ciò che mi passava per la testa. Facevo anche domande, e mi rispondevo da solo, mentre le ragazze se ne stavano sedute, due colombe della pace, sor- ridendo come se fossero appena scese dal cielo. “Ma cosa accadrebbe se un’epidemia letale si diffondesse in tutto il mondo, e tutti quanti avessero bisogno di nuovo sangue?” E, prima ancora che la più grande delle due avesse il tempo di rispondere, io dichiaravo con l’aria di un esperto che parli di genetica: “Di certo scoppierebbe una nuova guerra mondiale.”
Ma non c’è ragione di temere: se si farà una guerra per il sangue, sarà una guerra pulita; sarà proibito l’uso di armi convenzionali o di ultima generazione, non si potrà neppure usare un coltello da cucina. La guerra sarà una sorta di torneo di football americano e i soldati indosseranno abiti sportivi, leggeri. È ovvio che una guerra in cui il sangue scorre inutilmente non servirebbe a nulla in un momento in cui il mondo ne ha un estremo bisogno, perciò, se un soldato facesse uso di armi, non ci sarebbe alcuna pietà nei suoi confronti. Ma che guerra sarebbe? Fanculo tutto e tutti! L’obiettivo degli eserciti sarebbe quello di catturare il maggior nume- ro possibile di soldati nemici. I soldati combatterebbero tra loro e ogni fazione cercherebbe di catturare nemici, per poi trasportarli nei furgoni in attesa nelle retrovie. Sarebbe l’ultima guerra e finirebbe con il prelievo del sangue dell’ul- timo uomo. I furgoni, carichi di soldati prigionieri, chiusi in gabbia, partirebbero alla volta dei laboratori per i prelievi, dopodiché il sangue verrebbe equamente distribuito tra i cittadini. Ma lasciamo perdere questa storia, altrimenti le mie chiacchiere ti faranno venire il mal di testa. Fanculo tutto e tutti!
ok… parlavo tra me e me, tremando: “Un lupo! oh mio Dio! Un lupo!” Quello non si muoveva dal suo posto, non andava neppure in cucina a cercare qualcosa da mangiare. Il suo unico movimento, mentre stava come pietrificato da- vanti alla porta del bagno, consisteva nell’annusare le mie mutande e poi guardare la porta con occhi assassini.
Di certo quella mia idea di lasciare la foresta per torna- re a vivere in città era stata un’idea merdosa… Ma era stata colpa delle zanzare, quei maledetti vampiri! Lo sai che è solo la zanzara femmina a nutrirsi di sangue umano? Il maschio si nutre solamente di linfa vegetale e nettare di fiori. Ho trascorso più di cinque mesi nella foresta. Durante il giorno pescavo nel laghetto vicino, e di sera traducevo un libro molto interessante sulle origini della lingua ebraica. Ero molto felice della mia solitudine e del dono che la foresta mi aveva elargito: dimenticare il mondo degli uomini. Bevevo vino rosso, ma con moderazione. Il guaio però era che tutti gli unguenti con cui mi spalmavo il viso e il corpo non riuscivano a fermare gli attacchi delle zanzare. E come potevo sentirmi in pace mentre un nugolo di zanzare mi aleggia- va intorno alla testa per tutto il giorno, come l’aureola di Cristo nei quadri antichi? Di notte le femmine di zanzara penetravano sotto le lenzuola come una corazzata e mi succhiavano il sangue con ardore e avidità. Il padrone di casa, quando gli parlai delle zanzare, si prese gioco di me, disse che le zanzare mi amavano molto. Alla fine i miei sforzi nel combattere le zanzare furono coronati da violente coliche addominali. Il medico mi disse che si trattava semplicemente di disordini alimentari, e che avrei dovuto mangiare molta verdura. E aggiunse che avrei fatto meglio a tornarmene in città e vivere in mezzo alla gente, perché ovviamente lo stomaco risentiva anche del mio stato di isolamento. Da lui capii anche che parlavo di me stesso in modo strano. In breve, voleva dire che avevo bisogno di uno psichiatra. ok. Io sono quasi sempre un ottimo ascoltatore, e so apprezzare i consigli. Decisi di attenermi soltanto al primo consiglio del dottore, e così tornai in città e mi mescolai con i rifiuti della società, quelli dei bar malfamati. Al di fuori di una bottiglia d’alcol il mondo, per essere affrontato, sembra aver bisogno di un torero; dentro una bottiglia d’alcol, invece, il mondo è una commedia e ha bisogno solo di più pagliacci… e fanculo tutto e tutti!
In bagno c’erano solo un asciugamani e un mucchio di calzini e mutande sporchi. Io ero esausto e infreddolito. Controllai per esser sicuro che il mio ospite fosse ancora al suo posto, poi feci una doccia calda e tornai a riflettere sul- la faccenda. Se avessi avuto dei nemici, sarebbe stato logico pensare che uno di loro avesse portato il lupo in casa mia. Ma come si può portare un lupo in casa di qualcun altro? Il presunto nemico avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di qualcuno che lavora allo zoo, e di una macchina. Forse era un lupo domestico, come un cane… o forse io ero impazzito e mi stavo immaginando tutto. È mai possibile che una per- sona sana di mente creda a quello che ti sto raccontando? No, non dire che tu mi credi, ma… lo giuro su Geova e sui suoi angeli… era un vero lupo! Chissà, forse il dottore aveva ragione…
Mi coprii con l’asciugamani e piombai in un sonno pro- fondo, disteso su calzini e mutande. Mi svegliai in preda a una forte emicrania che mi crivellava la testa, simile a un assordante erpice. Doveva essere mezzogiorno. La cosa assurda, incredibile, è che il lupo era ancora lì! Merda… Ma non aveva fame? Perché stava lì, immobile come la Sfinge? L’idea della fame strisciò nella mia mente come una serpe. Ero in preda al panico e mi misi a gridare. Sarei rimasto chiuso in bagno fino a morire di fame? Ma in questo caso anche il lupo sarebbe morto di fame! Ma no, è risaputo che i lupi sopportano la fame meglio degli uomini. Io però in bagno avevo l’acqua, mentre a lui il rubinetto della cucina non sarebbe servito a niente. Ma allora io sarei morto di fame e lui di sete… No, no… in cucina, sul tavolo, c’era una scodella di zuppa. Chissà se gli sarebbe piaciuta la zuppa della sera pri- ma. Comunque sul tavolo c’era anche del pane, se lo avesse voluto…
Di colpo una tremenda isteria si impadronì di me. Mi misi a colpire con forza la porta e a gridare chiedendo aiuto. Di tanto in tanto spiavo dal buco della serratura le reazioni di quel maledetto lupo. Dov’erano i vicini? Anche da loro erano entrati i lupi? No, no… non potevo morire lì, in bagno. Pensai che sarebbe stato meglio farmi sbranare piuttosto che morire in quel modo orribile. E poi perché avrebbe dovuto mangiarmi? Sempre davanti allo specchio, cercavo di scacciare le mie paure. Magari lo avrei affrontato, lottando contro di lui e riuscendo a scappare. Forse si sarebbe accontentato di ferirmi. E se anche mi avesse amputato un braccio, sarebbe pur sempre stato meglio che marcire lì in bagno. Mi bagnai la faccia e poi rimasi per più d’un quarto d’ora a lavarmi i denti e scrutare con attenzione il mio viso allo specchio. Colpendo le pareti, urlavo e imprecavo. Poi mi venne un’idea: perché non aprire la porta, gettar via l’asciugamani e vedere cosa sarebbe successo? Ma non avevo il coraggio di fare una cosa simile. E se il lupo mi fosse balzato addosso, rapido, impedendomi di fuggire? Allora ricominciai a gridare e dar colpi alle pareti, usando tutti i flaconi di shampoo finché non si rompevano. Sfinito, tornai a sedermi sul water. Bevvi dal lavandino curvando le mani a mo’ di tazza, poi scoppiai in singhiozzi.
Mi distesi sulle fredde mattonelle del bagno, raggomitolandomi su me stesso, come uno che abbia smesso di credere e desideri soltanto sparire da questo mondo.
A notte fonda – la seconda notte – decisi di porre fine a quella pagliacciata. Che mi mangiasse, o che io mangiassi lui! Mi sentivo addosso un’energia formidabile, una sete di vendetta che si agitava dentro di me. Avrei fatto a pezzi quel lupo inutile e vigliacco, e avrei arrostito la sua carne e persino la sua testa! Fanculo tutto e tutti!
Aprii lentamente la porta del bagno. Il lupo si alzò in piedi e io, correndo con tutta la forza che mi era rimasta, gli balzai contro. L’ultima cosa che ricordo è l’istante in cui il lupo mi saltò addosso…
C’era un buio freddo, tetro. Un buio sordo. Ad aiutar- mi in quelle tenebre c’era soltanto il ricordo di quel che era accaduto in quegli ultimi istanti, sebbene il terrore di non esistere più fisicamente mi paralizzasse nei miei tentati- vi di essere paziente e aspettare la misericordia di Dio in quell’oscurità. Quel che so è che, contrariamente a quanto mi stava accadendo, quando muori non rimane più nessun ricordo, né alcuna consapevolezza della vita vissuta, anche se la morte intesa come annichilimento totale è soltanto una supposizione, nulla di più. Avrei voluto gridare per chiedere aiuto, ma non sapevo dove fosse la bocca, né come fare a lanciare un grido. Qual era il meccanismo, il movimento che bisognava compiere per riuscire a gridare? Come potevo farmi da capo un’idea di dove fossero i piedi o di come trovare i capelli per poterli poi toccare?
Ero veramente morto? Il vero dilemma in quell’oscurità non riguardava la mia capacità di muovermi o di fare qualunque altra cosa; il guaio era che gli strumenti erano spariti, persi in un mare di tenebre. Uno sa come guardare senza però conoscere il metodo o gli strumenti per farlo. Ma io sentivo, allo stesso tempo, di esistere ancora, seppure come un minuscolo punto cosciente, da qualche parte nel mondo. Non so quanto tempo sia durato. Il punto minuscolo cominciò ad allargarsi e io percepivo che la mia pelle riacquistava il suo calore e il mio respiro, dapprima molto lento, si faceva gradualmente più veloce.
A quanto pare, avevo sbattuto la testa contro lo spigolo del comodino e avevo perso conoscenza. Mi era anche usci- to un po’ di sangue. In casa non c’era nessun lupo. Era spa- rito, come evaporato. La porta di casa era chiusa, solo quella del bagno era spalancata. Indossai una camicia e presi il telefonino dalla tasca dei pantaloni buttati per terra, nel punto in cui c’era stato quel lupo che si era poi dissolto nel nulla. Mi misi a girare per casa con circospezione, ma non c’era nessuno a parte me. Mi sedetti sul divano e accesi la televisione. C’era la replica della cerimonia degli oscar e l’attore Brad Pitt, cingendo la vita di Angelina Jolie, parlava delle sue chance di vincere l’oscar.
Ho deciso di tornare nella foresta: meglio affrontare le zanzare piuttosto che rischiare che mi appaia, che so, un coccodrillo… Fanculo tutto e tutti! Questo è l’ultimo bicchiere che bevo con te… Sei proprio un uomo strano, e forse mi somigli un po’: hai un’incredibile capacità di ascoltare gli altri… Secondo me tu… ok, forse mi faccio un altro bicchiere con te prima di andarmene. Fanculo tutto e tutti. Non so neanche come ti chiami! Io sono Salmàn…
–Hassan Blasim, piacere.