Intervista a Faïza Guène per L’Indice dei libri del mese
di Francesca Del Vecchio
«Mia madre soffriva nel vedermi solo. Mi credeva, di volta in volta, pauroso, affetto da turbe della personalità, omosessuale. Nulla di tutto questo. Ero solo. Punto. Me n’ero fatto una ragione. Ritengo che non avesse mai realizzato di essere la prima responsabile di quel fatto»
Mourad nasce a Nizza, i suoi genitori sono algerini emigrati in Francia. Modesti per rango sociale e per livello culturale. Sua madre, una donna bonariamente invadente e protettiva, gli trasmette affetto alla vecchia maniera: rimpinzandolo di cibo. E Mourad, che vorrebbe emanciparsi da quella condizione costruendosi un destino, vive nel terrore di diventare un ragazzotto obeso con i capelli sale e pepe. Per sopravvivere dovrà affrancarsi da una pesante storia familiare che accomuna molti giovani di seconda generazione.
Questa è la storia raccontata da Faïza Guène in Un uomo non piange mai, edito da Il Sirente.
Guène, scrittrice franco-algerina di grande successo cresciuta a Pantin (banlieue “incendiaria” a nord-est di Parigi), ha debuttato nel mondo della letteratura a soli diciannove anni, sancendo, già dal principio, il suo talento letterario.
È stata ospite al Festival Mediterraneo Downtown di Prato e al Salone Internazionale del Libro di Torino, in occasione del quale è stata realizzata questa intervista.
Cosa hanno in comune Faïza Guène e il suo personaggio, Mourad Chennoun?
Mourad vive tra due fuochi: il tradizionalismo di sua madre Mina e l’innovazione di sua sorella maggiore Dounia, brillante studentessa. Come Mourad anche io ho vissuto una fase a cavallo tra la riproduzione dei valori familiari e la tensione alla modernità. Mourad incarna perfettamente la via di mezzo tra le due strade: un ragazzo che non nega le sue origini, ma che – facendo suoi i valori del paese ospitante – costruisce qualcosa di importante per la sua vita.
Il destino di Mourad è nelle sue mani: quanto conta per lui e per giovani come lui l’autodeterminazione e la forza di volontà?
Il messaggio che volevo far passare è che, a prescindere dall’origine sociale e dal livello culturale, si può essere felici solo se siamo riusciti a costruire dei legami affettivi. Mourad è certo un personaggio singolare, dotato di volontà e forza d’animo, ma è vero anche che ha ricevuto tanto amore e sostegno dalla sua famiglia, nonostante la modestia del padre e l’invadenza della madre. È diventato un insegnante, e questo è un traguardo, purtroppo, non per tutti.
Il tuo libro è il racconto di una storia come ce ne sono tante: quanto c’è di finzione e quanto di verità?
Di tutti i miei romanzi questo è quello in cui ho messo di più di me stessa. Ciò non vuol dire che questi avvenimenti si siano verificati realmente nella mia vita ma una base di verità c’è: in particolare il rapporto con il padre, l’importanza del patrimonio storico. La Francia ha una doppia cultura e dovrebbe farne tesoro.
«Con il passare degli anni, la situazione con Dounia peggiorava. Il mondo esterno pullulava di Julie Guérin, e i tentativi dei miei genitori di trattenere la figlia nel guscio sono tutti falliti. Le intimidazioni e le punizioni non funzionavano più. Mia madre, pur così abile nel gioco della colpevolizzazione, ha sparato tutte le sue cartucce. La tachicardia improvvisa e l’ipertensione non cambiavano più nulla.
Abbiamo perduto Dounia».
Quanto l’esperienza di vita nelle banlieues ti è stata utile nella tua produzione letteraria?
Come ogni scrittore, l’ambiente circostante – familiare, sociale, culturale – influisce in modo piuttosto evidente sulla propria letteratura. Nel mio caso non è la periferia a dare senso alla scrittura, ma la mia percezione di questo ambiente. Guardare il mondo con gli occhi della periferia dà vita a un nuovo genere: una letteratura popolare “nobile”, perché anche il personaggio più anonimo può trasformarsi in un eroe.
Hai pubblicato il tuo primo libro a diciannove anni grazie al tuo professore di francese. Hai avuto coraggio. E fortuna. Cosa ha significato per te quel trampolino?
Io credo nel destino, ed è incredibile per me avere avuto questa opportunità, visto che come Mourad la mia condizione sociale d’origine e il mio ambiente non supportano questo tipo di percorso. Se non avessi avuto questo incontro con il mio maestro, e non avessi seguito l’ambizione, non avrei mai visto il mio libro pubblicato.
Questo ultimo romanzo è sicuramente più maturo del primo: per stile, per storia. C’è qualcosa che rimpiangi della vecchia Faïza?
Forse la spensieratezza dei miei diciannove anni, e anche il mio ottimismo.
Come ha risposto il pubblico francese al tuo libro?
Il pubblico mi ha seguito e ne sono molto felice; i miei primi lettori sono ancora lì ad attendermi. Per quanto riguarda la stampa, i giornalisti e la critica letteraria, sono soddisfatta che abbiano riconosciuto in me una scrittrice a tutti gli effetti e non solo un “fenomeno sociale delle periferie”.
Negli ultimi anni l’apertura dell’editoria europea al romanzo d’origine araba ha portato a conoscere importanti autori. Ma qualche volta capita di imbattersi in romanzi di estremamente stereotipati e scritti per compiacere il pubblico occidentale. Cosa ne pensi?
Credo che in tutti i settori ci siano autori ed editori che scrivono per piacere. Ma penso che il pubblico non si lasci ingannare e che l’autenticità faccia sempre la differenza.
I tuoi romanzi sono stati tradotti in ventisei lingue. Che rapporto hai con i tuoi libri tradotti?
È ogni volta una bella sorpresa per me. Ne sono affascinata perché sento che si tratta di un nuovo romanzo. In un nuovo ambiente, in una cultura diversa. Ma grazie ai numerosi incontri con i lettori di tutto il mondo, ho capito che la letteratura è universale.