di Cristina Piccino (da ALIAS N. 6 – il manifesto, 11/02/2006)
Era il 1971 quando l’attore francese Clémenti, a Roma a girare «Necropoli» di Franco Brocani, venne arrestato per droga. Un blitz per distogliere l’attenzione dal caso valpreda. «Cosa di meglio che quei ragazzi stranieri coi capelli lunghi, sporchi, che non lavorano», scrive il poeta della rivoluzione nel suo diario dal carcere.
Era un mattino d’estate quando i carabinieri arrivarono nella casa dell’amica che ospitava pierre Clémenti a Roma: 24 luglio 1971, decennio a venire di antagonismi liberati dal 68, una rivoluzione di cui l’attore francese era icona e protagonista. In Partner di Bertolucci lo vediamo correre per le strade della capitale, era lui che raccontava qui già il maggio francese, irrequieto, ineffabile, un’insofferenza alle regole sin da piccolo che era il suo magnetismo. Bellezza androgina, potenza d’attore, sensibilità psichedelica che poi ne farà il protagonista «naturale» del magnifico Sweet Movie di Makavejev, aveva incantato oltre a Bertolucci (col quale girerà anche Il conformista, 70) Luis Buñuel (Bella di giorno, 66, La via lattea, 69), Marc’O (Les Idoles, 64), Philippe Garrel (Le lit vierge, 69, La cicatrice interiore, 70), Glauber Rocha (Cabezas scortadas, 70), Liliana Cavani (I cannibali, 69), Pier Paolo Pasolini (Porcili, 69). Il cinema insomma che più distillava immaginario e vita, di cui vissuto e sensibilità dell’attore erano incarnazione e alchimia perfetta. A Roma Clémenti stava girando Necropoli di Franco Brocani, ancora cinema italiano che lui adorava. Pasolini, intanto, «un san Paolo a suo modo che pensa di avere come missione l’affrancamento degli italiani dalle carcasse morali e dalle regole cattoliche che li hanno castrati per secoli rendendoli vergognosi della propria sessualità». Poi Fellini, Visconti (era stato anche nel Gattopardo), De Sica…
Quella mattina Clémenti dormiva, il figlio, Balthazar, un bimbetto di cinque anni, apre la porta. È un attimo. I carabinieri frugano determinati – «i vicini si sono lamentati» diranno a motivare l’irruzione da Anna Maria, così si chiama l’amica di Clémenti, una cosa dove c’era sempre un posto per tutti, cosa che da sola basta a giudicare, a dichiarare colpevolezza. Che cercano è facile immaginarlo: droga. E la trovano, naturalmente, un po’ di hashish, un pizzico di cocaina, roba da niente (e con tutta probabilità messa da loro stessi) che basta però a portare Clémenti e Anna Maria in galera. Un po’ quello che avverrà con la prossima legge Fini. Clémenti resterà in prigione diciotto mesi di cui otto attendendo il processo al quale viene prima condannato a due anni, e poi, in appello, assolto. Ma intanto passano altri dieci mesi, dieci mesi di abbrutimento, violenza, negazione di tutto. È in questo tempo tra regina Coeli – la prigione del popolo come lui la chiama – e Rebibbia, «il carcere modello», che Clémenti scrive Quelques messages personnels, qualcosa di più che un diario o un’autobiografia, un vero racconto del carcere ma soprattutto meccanismi che lo strutturano, e di quella repressione capillare e organizzata messa in atto da carabinieri e fascisti con il supporto degli apparati mediatici. Sono gli anni dei «casi» costruiti con sapienza, delle individualità demolite per colpire il movimento che mette sempre più in crisi la supremazia di una logica politica che è solo repressione a tutto campo. Valpreda accusato di strage anche se innocente, ma anarchico, dunque colpevole. Da Braibanti, primo colpevole di dissenso fino al «caso» del quali hashish e marijuana, e un incredibile clamore mediatico di mala informazione e fanatismo anticomunista. La droga ci dice Clémenti è il pretesto, il simbolo e la sintesi con cui annichilire le figure scomode e non assimilabili alle norme. La sua scrittura ci porta dentro a tutto questo, e lo fa partire da un vissuto (in prima persona) che mai è sovraesposto ma indignato, struggente, rabbioso con la dolcezza gentile di un poeta della rivolta. Che sa bene il paese in cui si trova rinchiuso, non diverso dalla sua Francia e dal resto del mondo che cerca di difendersi da chi mette in discussione sfruttamento, privilegio, negazione della consapevolezza. L’Italia che racconta Clémenti è quella del codice fascista Rocco, delle rivolte carcerarie finite in massacro, dell’istruzione negata in carcere come il lavoro o una qualsiasi specializzazione così che chi poi esce sia costretto a rientrarci. «perché quella mattina d’estate i poliziotti sono venuti a bussare proprio alla porta di Anna Maria?» si chiede più volte nel corso del racconto. E risponde: «ci voleva qualcosa che distogliesse l’attenzione dallo scandalo intorno alla condanna di Valpreda, molto rischioso per il sistema giudiziario e poliziesco (…) Cosa di meglio che dei ragazzi stranieri coi capelli lunghi, sporchi, che non vogliono lavorare e che si drogano, questi hippie…».
A Regina Coeli carcere duro, nessun diritto, letture e posta controllati, il rischio continuo della cella di isolamento (in cui finisce anche lui). Se si risponde si diventa subito elementi pericolosi. Clémenti rifiuta il mondo, smette di parlare, di leggere, di mangiare, non vuole visite. «Dopo il silenzio, e settimane di vita vegetativa, è arrivato il momento della rivolta. La sola arma che un prigioniero ha è il suo corpo» scrive. E ancora: «ho visto cose terribili a Regina Coeli. E uomini sublimi».
Quelques messages personnels, ripubblicato in Francia dalle edizioni folio, l’edizione originale uscita nel 1973 era ormai introvabile (in Italia l’ha pubblicato il Formichiere, ormai scomparso, ora si sta cercando un nuovo editore) si compone per istantanee in cui Pierre Clémenti detenuto incontra Pierre Clémenti attore: brucianti, la stessa incandescenza distillata nei suoi film. Che entrano nello «smascheramento» del carcere insieme a altri appunti di memoria, l’erranza nelle strade di Saint-Germain, l’incontro con Jean-Pierre Kalfon, i set di Buñuel per Bella di giorno… E le donne, «le stelle filanti» come le chiama, anche quelle italiane, «del popolo», incontrate nei vagabondaggi trasteverini, lui per scelta lontano dai salotti di piazza del Popolo e in affinità coi tavolini proletari di un quartiere allora ancora segno vitale di una metropoli non del tutto spossessata di sé. Cinema e vita insomma, cioè immaginario non pianificabile, che produce inquietitudine e per questo va cancellato. Clémenti prigioniero denuda anche i suoi «interlocutori»: i direttori del carcere per tipologie, mellifluo, o «sognatore», o smascherato di gentilezza che ti rovina. I poliziotti reclutati tra poveri e ignoranti, a cui si insegna a leggere e a picchiare, caricati a anfetamina prima delle manifestazioni, stessa tecnica usata dai francesi nella guerra di Algeria. «Il sistema ha paura dell’energia di massa. Bisogna bloccarla o canalizzarla cercando con ogni mezzo di riconvertire la potenziale energia creativa in repressione». Poi c’è la speranza, che è lotta per cambiarla la prigione, e che fa di Quelques messages personnels un libro combattente a ogni passaggio. E di evasione ma dal sistema verso l’utopia, che un giorno le prigioni scompaiano, che i ministri della giustizia siano tormentati da insonnia pensandoci, e che finisca l’ipocrisia. Clémenti non sarà più lo stesso una volta fuori. «Bisogna sapere andare molto lontano» aveva scritto. Resistenza estremista, quasi un’altra sperimentazione.