| La Repubblica | Lunedì 18 giugno 2001 | Gianluigi Melega |
Oggi al Cairo comincia il processo a carico della Saadawi, psichiatra, romanziera e saggista perseguitata perché ritenuta “apostata”.
IL CAIRO – Questa è la prima parte di una storia che si concluderà oggi, quando la protagonista sarà processata da un tribunale del Cairo e, se ritenuta colpevole, sarà condannata al divorzio forzato ed eventualmente a tre anni di carcere. Nawal Saadawi è una delle più famose scrittrici egiziane. Ha 70 anni. Laureata in medicina e psichiatria, ha scritto oltre venti tra saggi e romanzi, è già stata in prigione per ragioni politiche.
Ha un carattere indomabile e un marito di 78 anni, anche lui medico e scrittore, di cui dice con ironia: «Potrei divorziare da lui per mille ragioni personali: ma se i fondamentalisti islamici riescono a farmi condannare al divorzio forzato staremo insieme per sempre» .
L’appartamento in cui vivono al Cairo è al ventiseiesimo piano di un palazzone di periferia. Dalla veranda aperta entra un vento fresco, si vede il poderoso Nilo che si bipartisce, dando origine a un primo, grande ramo del suo delta. Nawal Saadawi ha una testa leonina, i capelli come una gonfia criniera bianca continuamente scossa, la foga delle parole travolgente. Profuga politica ha insegnato nelle università americane dal ‘92 al ‘97, parla benissimo inglese.
«Sono nata in campagna, nel 1932. Dopo la laurea, ho diretto una rivista di medicina e sono stata nominata direttore del ministero della Sanità con delega all’assistenza per le donne. Dopo la pubblicazione di un mio testo medico, “La donna e il sesso”, sono stata licenziata. Allora ho insegnato all’Università del Cairo, con ricerche specializzate sulle nevrosi femminili. Nell’89 l’Onu mi ha affidato la direzione dei programmi per le donne in Africa e Medio Oriente» .
Siamo ad ascoltarla in una decina. Una delegazione di femministe tunisine, un’avvocatessa catalana e una belga, una rappresentante della presidenza svedese dell’Unione europea e, per il Parlamento di Strasburgo, un’altra indomabile, Emma Bonino, che dopo la delusione elettorale italiana, s’è gettata nella difesa di casi di donne oppresse, imprigionate o minacciate di morte per il coraggio di difendere i loro diritti, in ogni parte del mondo. Per Nawal Saadawi il Parlamento europeo, su iniziativa della Bonino, ha approvato una mozione di sostegno. E ora lei è qui per il processo.
Il marito della protagonista, schivo e gentile ma non remissivo, dice: «Sono iscritto al partito del Fronte, quello che in Parlamento è più a sinistra, e sono indignato per il fatto che pochissimi parlamentari anche del mio partito hanno parlato in favore di Nawal: vedo in giro troppa paura» .
«Nell’81 venni arrestata e gettata in prigione senza processo da Anwar Sadat, in una retata di 1.600 intellettuali che criticavano il governo», continua la Saadawi. Un mese dopo Sadat fu assassinato e Mubarak, che gli era successo come presidente, liberò tutti: «Ci ricevette a palazzo e disse, “andate a casa e dimenticate il passato”; io chiesi la parola e dissi “grazie per la libertà, ma non vogliamo dimenticare: perché non vogliamo che accada ancora”». Mubarak non gradì troppo il mio intervento» .
In Egitto, se si è scrittori oggi si può finire su due liste nere. Una, ufficiosa del governo: direttori di giornali, radio e tv, sanno che certe persone non devono essere ospitate sui mezzi che controllano. Una, orale, che i fondamentalisti islamici fanno circolare nei mercati, nelle scuole, nelle campagne. I muezzin urlano il nome dell'”eretico” per l’Islam dagli altoparlanti delle moschee e annunciano condanna e pena con un solo verbo: «Ammazzatelo!».
«Io ho sentito con le mie orecchie la sentenza contro di me gridata dal minareto: “Ammazzatela!”», racconta Saadawi. Fu allora, nel ‘92, dopo dieci anni difficili, in cui però conobbe il successo delle traduzioni dei suoi libri (in italiano sono stati pubblicati “Firdaus”, “Dio muore sul Nilo” e “L’amore ai tempi del petrolio“), che Saadawi e suo marito decisero per l’esilio, andando a insegnare in America.
Sono tornati quattro anni fa. Ma adesso lei è, paradossalmente, vittima del suo maggiore alleato: la globalizzazione della tv. Finché era lontana non dava fastidio. In Egitto i giornali hanno tre tabù, argomenti di cui non si può parlar male: il presidente Mubarak, le Forze armate, e l’Arabia Saudita. E i fondamentalisti, i cui Fratelli musulmani sono fuorilegge come partito, hanno come campo di battaglia l’egemonia culturale: purché non allunghino il tiro alla politica, il governo li lascia fare. Ora, molte tv arabe hanno intervistato la Saadawi. E le parabole sui tetti del Cairo hanno rilanciato tra gli egiziani le sue critiche al governo e ai fondamentalisti. Questa strana forma di libertà di parola tecnologica s’è ritorta contro di lei.
Un avvocato fondamentalista, Nabib Wahsh, specialista in casi clamorosi (aveva denunciato la regina Elisabetta per la morte della principessa Diana), ha denunciato «per apostasia» la Saadawi, chiamandola per iscritto «brutta vecchiaccia» e sostenendo che quanto dice e scrive è una continua trasgressione della legge islamica. Un apostata, per la legge islamica, è un essere morto, quindi non può essere sposato con un credente musulmano. Quindi, sostiene l’avvocato Wahsh, Nawal Saadawi e suo marito devono divorziare e vivere separati, e lei in prigione. Qualunque credente è autorizzato a fare qualsiasi gesto perché la legge islamica sia osservata, per esempio picchettare la loro casa, o peggio. Ciò significa mettere la scrittrice alla mercè di qualsiasi fanatico fondamentalista.
Oggi, davanti a una piccola folla di osservatori internazionali e, forse, di estremisti islamici, un giudice dovrà annunciare il suo verdetto.