| Vita | Lunedì 31 gennaio 2011 | Lubna Ammoune |
Viscoso e nero come il petrolio. Sembrerebbe questa la caratteristica peculiare di un amore presentato nel libro di Nawal al-Sa’dawi, scrittrice e psichiatra egiziana, conosciuta a livello internazionale per la sua battaglia in nome dei diritti delle donne e della democratizzazione nel mondo arabo. In questo suo romanzo, L’amore ai tempi del petrolio, l’autrice percorre una storia densa di mistero di una donna di cui non conosciamo il nome. La protagonista è un’archeologa che scompare senza lasciare traccia. Il suo viaggio, reale e allo stesso tempo visionario, si rivela come il percorso della mente e della coscienza di una donna che vive in un regno autoritario in cui tutto ciò che porta il genere femminile a interessi che esulano dalla casa è sintomo di una malattia psicologica. È un mondo in cui luminari della Terra non possono che essere uomini, e dunque è risaputo, anche se taciuto, il fatto che ci siano state falsificazioni storiche inerenti alla trasformazione delle dee in dei, come quando Abu al Haul prese con la forza il trono e ordinò che fossero rimossi i seni da una statua femminile perché venisse aggiunta la barba. La ricercatrice scompare e dall’indomani si legge la notizia sui giornali, perché nessuna donna ha mai osato abbandonare casa e marito, disobbedendo alle regole, tanto che la polizia si chiede se sia una ribelle o una donna dalla dubbia morale. Mentre il commissario interroga il marito della donna scomparsa per far luce sulle ragioni della fuga, l’archeologa ripensa al suo innamoramento. Si chiede se suo marito sia veramente suo marito. Pervasa da questo dubbio arriva a credere che l’avesse sposata forse in sua assenza, mentre il contratto era stato preparato senza di lei, perché la donna non è solita partecipare al proprio matrimonio. L’universo maschile si allarga e compaiono altre figure, tra cui il datore di lavoro della protagonista e l’uomo con cui decide di stare quando riappare e per il quale lascia il marito. Sembrano quasi macchie da cui la donna si sente però inspiegabilmente e istantaneamente attratta, respinta e distaccata. La sua fuga potrebbe portarla a ritrovare il suo orgoglio, le sue aspirazioni e la sua dignità. Questo scatto di autocoscienza e di formidabile introspezione si riflette e si allarga ad altre figure femminili che solo in quel momento capiscono che “non sono meritevoli di un diritto che prendono da mani che non sono loro” e che “hanno permesso a loro stesse delle condizioni che nemmeno gli animali accetterebbero”. Eppure l’archeologa continua a struggersi d’amore e non trova ancora un senso da conferire alla sua vita. Così, nella luce fioca di alcune notti in cui il progetto di scappare appare compiuto v’è qualcosa d’intralcio. Perché “fino a quando l’uomo avrà la capacità di ridere, la donna non avrà desiderio di scappare, almeno non questa notte…”.