| Affrica | Venerdì 23 marzo 2012 | Marisa Fois |
C’è un re, di cui si festeggia il compleanno e la notizia sul giornale, in prima pagina, a caratteri cubitali, accompagnata da una fotografia a grandezza naturale di Sua Maestà, ne offusca un’altra: “Donna partita e mai più tornata”.
Lì, in quel Paese non ben definito, ma che ha caratteristiche ben precise – autoritario, ricco, autoreferenziale – “non era mai successo che una donna fosse uscita e non fosse più tornata. L’uomo, invece, poteva partire e non tornare per sette anni e, solo dopo questo periodo, la moglie aveva il diritto di chiedere la separazione”. La donna scomparsa era un’archeologa e “aveva una passione per la ricerca delle mummie, una sorta di passatempo”, non indossava il velo, amava il suo lavoro, era emancipata. Perché è sparita? Qualcuno l’ha costretta o è stata una libera scelta? È davvero scomparsa?
“L’amore ai tempi del petrolio” di Nawal al-Sa’dawi è una sorta di giallo introspettivo, che racconta la condizione femminile non solo nei Paesi autoritari, ma, in una prospettiva più ampia, in ogni società. Forse proprio questo ha spinto l’autrice – scrittrice e psichiatra, nonché una tra le più note militanti del femminismo internazionale – a non utilizzare nomi, ma solo categorie (donne e uomini ) in modo che l’immedesimazione potesse risultare più semplice. Donne sottomesse al lavoro, donne che lavorano anche e più degli uomini ma senza uno stipendio, che viene invece pagato all’uomo che sta al loro fianco e con cui condividono il letto e la casa, a cui sono costrette a dire sempre di sì. Donne omologate.Donne dominate socialmente, economicamente e culturalmente. In più, le relazioni sociali sono influenzate anche dal petrolio e dalla sua potenza, che riduce l’intero Paese in schiavitù, dipendente da una forza esterna onnipresente.
Il libro, uscito in Egitto nel 2001, è stato subito censurato e condannato dall’Università Al Azhar. “L’amore ai tempi del petrolio” è, infatti, una critica diretta a Mubarak, allora saldamente al potere, e al suo governo, fortemente condizionato da ingerenze esterne. Ma è anche una critica a chi tenta di cancellare la storia (emblematico è il caso della trasformazione delle statue che rappresentano divinità femminili in divinità maschili), alla scarsa collaborazione tra donne e alla loro paura di andare contro quello che ritengono un destino già scritto e immodificabile. La narrazione è come un viaggio onirico: l’archeologa alterna momenti di veglia al sogno, quasi per non essere assorbita da questa monarchia del petrolio.