| ANSAmed | Lunedì 10 ottobre 2011 |
“Eravamo adolescenti. E’ venuta da me in ‘sala da ballo’ verso sera. E’ arrivata all’improvviso e, dopo una presentazione piuttosto concisa, mi ha detto di essere venuta a mostrarmi uno scorpione che si era appena fatta tatuare proprio dove comincia la colonna vertebrale”. Inizia cosi’ il racconto del giovane scrittore palestinese, Akram Musallam, “La danza dello scorpione” (il Sirente, pp. 114, 15 euro), in questi giorni nelle librerie italiane. Con il narratore la ragazza, di origini francesi, trascorrerà la notte, per poi sparire e non tornare mai più. Sarà invece il piccolo scorpione color indaco a prendere vita e ad ossessionare i sogni del giovane ogni notte, nel tenace quanto fallimentare tentativo di arrampicarsi su uno specchio dal quale scivolerà, consumato da un’estenuante e vorticosa danza. Costruito proprio sulla metafora dello scorpione e ambientato a Ramallah, questo breve ma autoironico romanzo descrive con lucidità e amarezza la situazione mediorientale dopo gli Accordi di Oslo e il fallimento della seconda Intifada. Sullo sfondo, l’occupazione israeliana e il quotidiano rapporto dei palestinesi con la vita e la morte. “Ricordo – scrive il narratore – di avere lasciato Ramallah per qualche tempo, su consiglio medico, per riposarmi i nervi dalle complicazioni di un rapporto quotidiano con la morte o con notizie che la riguardavano”. L’impotenza dello scorpione narrata da Akram è anche quella del padre del narratore, che ha perso una gamba – e con essa la sua virilità – non a causa dell’occupazione, ma semplicemente per un chiodo arrugginito. Altre figure, dotate ciascuna di una forte carica simbolica, appaiono in tutta la storia per scomparire presto. Tra queste, quella rappresentata da un ex-detenuto, “somaro della rivoluzione” che è appena stato rilasciato dopo diciotto anni di carcere, e che è costretto a riprendere servizio presso coloro che lo hanno sempre considerato un vero e proprio somaro.
Premiato nel 2007 dalla prestigiosa fondazione Abdul Mohsen Al-Qattan, Akram è stato paragonato della critica a Emil Habibi, scrittore arabo israeliano autore del “Pessottimista”, scomparso nel 1996.