Il matto di Piazza della Libertà
È l’inizio del 2006, quando il silenzio dell’alba in una desolata Baghdad viene rotto dalle sirene: sei cadaveri senza testa sono stati rinvenuti sulle sponde del Tigri. L’ambulanza che trasporta il sacco con le sei teste procede lentamente tra le strade deserte, l’autista filosofeggia della natura umana con il suo collega, detto il Professore, quando un commando di uomini mascherati la affianca e porta via l’autista insieme al macabro sacco. All’arrivo nella prigione, gli impongono di girare un video, leggere un comunicato. Rimarrà con loro per tre mesi prima che lo vendano ad un altro gruppo. La separazione dai rapitori sarà cordiale, conviviale, condita da lacrime di commozione e un lauto banchetto la cui generosità fa intuire al sequestrato la cospicuità della somma ricevuta per il cambio di mano, a cui seguirà un nuovo video e un nuovo comunicato e così via, fino all’ultimo scambio… Nessuno crederà mai alla storia di Janklovic, l’anziano poliziotto serbo che ha aperto i portelloni del camion partito da Istanbul per Berlino con a bordo trentasei giovani sognatori che il terrore ha trasformato in avvoltoi dai becchi aguzzi… La vita di un redattore di una rivista militare tocca un punto di svolta quando in redazione arrivano cinque quaderni, ciascuno contente un romanzo che un soldato sostiene di aver scritto in un mese… Chi ha chiuso quella porta? Quando un gruppo di ispettori dell’Onu fa irruzione nella fabbrica di uniformi rimasta chiusa per quindici giorni, imbattendosi nel cadavere di una giovane donna, il soldato Hamid al Sayyd sostiene di aver sentito un rumore e di essersi nascosto con la sartina Fatin sotto un mucchio di stracci… Un uomo armato monta la guardia a due statue nella piazza della città dopo che il quartiere ha deciso di opporsi all’ordine del nuovo governo di rimuovere tutte le statue in quanto simulacri incompatibili con la sharìa islamica. Quelle statue hanno un valore particolare per il “rione del Buio, uno dei più miseri della città, sono state scolpite da una mano poco sapiente per immortalare il passaggio di due ragazzi biondi e la luce che ogni mattina attraversava il quartiere insieme a loro”. Ora non è rimasto che “il matto” a raccontarne la storia…
Hassan Blasim, classe 1973, fuggito da Baghdad nel 1998, ha trovato dapprima rifugio nel Kurdistan iracheno, poi in Finlandia. È un autore coraggioso, che ha messo su carta tredici racconti violenti e macabri che sono altrettante denunce del lato oscuro della “democratizzazione” irachena e della violenza cieca verso i migranti. Un testo che ha il retrogusto ferroso del sangue e delle canne di fucile, quello della raccolta Il matto di piazza della Libertà , non adatto ai deboli di stomaco ma soprattutto controindicato per le coscienze sopite, che mal sopporterebbero la denuncia vibrante delle collusioni tra Occidente e Oriente, dell’ipocrisia che permette a molti dei governi europei di fingere di ignorare come la catastrofe umanitaria che li coglie oggi impreparati sia figlia di trent’anni di cieca manipolazione e ingerenze indebite. Quella di Hassan Blasim è una voce politica tonante, l’autore mette in campo tredici personaggi che narrano episodi “infernali” nel senso più dantesco del termine. Si potrebbe definire questa raccolta un campionario della crudeltà umana, ma è in realtà un’analisi accurata, quasi da microbiologo, degli abissi in cui l’animo umano può sprofondare se privato delle caratteristiche ambientali, sociali che definiscono i confini dei consessi di civile convivenza. Non c’è condanna possibile per i protagonisti dei racconti, qualsiasi giudizio morale non può che sospendersi, sembra dirci la penna intrisa di umana pietas dell’autore, dinanzi alle condizioni in cui le azioni aberranti che vengono narrate, sono state commesse. Sono voci, le loro, che incatenano gli occhi alle pagine, che li feriscono fino a farli sanguinare, che tatuano sulla retina immagini di un’umanità feroce e irredimibile e che non consentono al lettore alcuna via di fuga sdolcinata. Solo orrore e desolazione.