| Secolo d’Italia | Venerdì 18 marzo 2011 | Michele De Feudis |
La censura non può fermare il vento di libertà delle rivolte laiche e giovanili che stanno infiammando le piazze arabo-musulmane. Le opzioni reazionarie egiziane, di contro, sono riuscite nell’impresa di amplificare genio creativo e fama dell’originale fumettista del Cairo, Magdy El Shafee, autore della efficace graphic novel Metro, una storia illustrata edita nel Paese delle Piramidi nel 2008 e tradotta solo adesso in Italia da il Sirente (pp. 112, € 15,00).
La distanza della cultura occidentale dal mondo arabo può essere colmata anche da un fumetto che può fotografare in profondità le sfaccettature della società egiziana, tra vitalismo giovanile, penetrazione dei movimenti islamisti e spinta securitaria dell’ordine costituito. L’artista è un creativo farmacista, patito di fumetti, folgorato dalla passione per le avventure disegnate dal genio italiano Hugo Pratt e di Hergé: «Ho amato i fumetti come mezzo di espressione, non solo come disegno. Da bambino Superman e Tintin erano le mie ricompense ideali e quando, all’età di quindici anni, ho letto una storia di Corto Maltese è stato per me una meravigliosa sorpresa: l’eroe del fumetto non doveva essere per forza un modello pieno di virtù…». Galeotto è stato un corso sui comics svolto nell’Università americana al Cairo. Il suo talento è stato subito arruolato sulle colonne del quotidiano Dustur, e così l’artista ha scelto di abbandonare pastiglie e farmaci per dedicarsi a matite e nuvolette. Metro ha ricevuto subito l’ostilità del regime egiziano al punto da essere sequestrato (con l’ordine di distruggerne tutte le copie in circolazione). Al Shafee, insieme al suo editore Mohamed Sharqawi, sono stati processati e condannati al pagamento di una multa salata. Il disegnatore ha spiegato che «la colpa è dei disegni: perché un conto è leggere di un Paese malato e corrotto, un altro è vederselo rappresentato con tanto di strade, facce di politici e morti di fame, grattaceli e baraccopoli». «A me è rimasta solo una cosa: la mia testa… e ora ho finalmente deciso di fare quello che mi dice»: questo è l’incipit che fotografia il pensiero ribelle del protagonista, Shihab, software designer perseguitato dagli usurai a cui ha chiesto un prestito. Per questo la rapina ad un istituto bancario può diventare una via d’uscita da un vicolo cieco. Indigeste al potere politico imperante in Egitto sono risultate le tavole che affrescano una manifestazione giovanile a favore della giustizia sociale, conclusa con un dura repressione operata da un gruppo di infiltrati. Magdy El Shafee spiega così l’ostilità del regime e la voglia di non allinearsi: «L’ispirazione? Un mio amico era scappato, la polizia lo cercava: si trattava di una bravissima persona, profonda, sensibile, sincera e amava l’arte. Insomma, all’epoca, nel 2003, il governo si trovava in uno dei tanti momenti di grottesco fallimento economico: per me era naturale essere dalla parte di uno come il mio amico latitante piuttosto che di un governo che non faceva gli interessi del popolo. Per quali motivi Metro è stato sequestrato? La polizia morale ha trovato il linguaggio usato nel fumetto troppo spinto… La realtà è che il riferimento alla corruzione politica non è stato gradito né considerato casuale». Fuoco sotto la cenere delle democrature nordafricane. Sergio Romano, sul Corriere della Sera ha commentato così il quadro geopolitico mediterraneo: «Era evidente che la corruzione diffusa, il clima autoritario e poliziesco, il crescente divario fra ricchezza e povertà erano motivo di irritazione e di rabbia. Sapevamo quindi che, prima o dopo, qualcosa sarebbe successo. Ma soltanto le Cassandre e i Nostradamus sono pronti a prevedere la data di un’esplosione popolare. Una persona seria e informata segnala l’esistenza del problema, ma si astiene dal fare previsioni».
Ma chi sono i giovani ribelli che da Tripoli al Cairo scendono in piazza? Sono gli “arabi invisibili” che ha tratteggiato in un omonimo saggio per Feltrinelli la studiosa Paola Caridi. Sono ragazzi tendenzialmente cosmopoliti, che navigano abitualmente su Internet, hanno studiato nei nostri atenei e amano la cinematografia internazionale. «Finita, dunque, l’era delle odalische, dei beduini, quello che si apre a un occhio attento è un mondo ricco, alla ricerca di un nuovo rinascimento considerato imperativo. Che rifiuta con stizza lezioni di democrazia e civiltà dall’Occidente», scrive la Caridi, evidenziando come la difesa della sovranità nazionale sarà un filo rosso costante nelle insurrezioni di questi popoli inquieti. L’opera di El Shafee costituisce un prezioso viatico per avvicinarsi senza pregiudizi alla conoscenza dell’Egitto, senza cartoline stereotipate, ma con le striscie corrosive di un pittore di anime ribelli.