| Minareti.it | Giovedì 9 dicembre 2010 | Elena Dini |
Si chiama “Metro”. E non solo perché nella graphic novel ricorrono le stazioni della metro del Cairo ma anche perché il libro è stampato nel carattere tipografico Metro realizzato nel 1927 dal graphic designer William Addison Dwiggings. E’ la prima graphic novel egiziana che è stata sul mercato locale per poche settimane prima di essere sequestrata dalla polizia in seguito alla sentenza del tribunale di Qasr el Nil che ha giudicato che “questo libro contiene immagini immorali e personaggi che somigliano a uomini politici realmente esistenti”.
Metro, opera di Magdy El Shafee è la storia di un certo signor Shahib, un software designer, che si ritrova pieno di debiti e che, per trovare una via d’uscita alla sua situazione, organizza una rapina in banca insieme all’amico Mustafa che finirà per tradirlo e scappare con il bottino. La vicenda si svolge nel contesto dell’Egitto di oggi e le critiche, velate ma soprattutto non, avanzate dai protagonisti alla società e al governo rendono questo fumetto una seria provocazione. Dalla bocca di Shahib, il protagonista, escono parole dure: “Giornali, televisione e tutte le altre cose che ci hanno abituati alla sottomissione, al fatto che la corruzione resterà tale e quale… all’oppressione, alle code per un pezzo di pane… non mi faccio distrarre dalla cronaca… non dimentico i veri responsabili”.
Corruzione, picchiatori durante le manifestazioni e povertà. Uno scenario che l’autore, Magdy El Shafee, che ieri ha presentato il suo libro a Roma alla libreria Griot, ha commentato in termini duri soprattutto quando fa entrare nel discorso la politica. “Le elezioni in Egitto sono una recita e chi partecipa sono delle comparse – commenta l’autore e continua -. Noi non abbiamo grandi sogni ma i politici continuano a prenderci in giro e non considerano le persone come esseri umani con una loro dignità”.
Magdy El Shafee ha cominciato a pubblicare vignette e strisce umoristiche sul quotidiano indipendente Dustur conquistandosi la simpatia del pubblico. Quando poi ha pubblicato il suo libro le autorità hanno considerato il linguaggio e alcune scene troppo spinte. “Quando cominci a lavorare ad un progetto – confessa l’autore – non pensi ai problemi che potrebbe causarti”, riferendosi al processo che ha dovuto affrontare. Tuttavia, il sostegno non è mancato anche in quei giorni difficili: “Molti blogger e attivisti che non prima di allora non avevano un volto per me mi hanno sostenuto, come anche alcuni paesi sub sahariani, il Kuwait e il Libano”.
La graphic novel ha anche un’altra particolarità. La voce narrante si esprime in arabo classico mentre i protagonisti parlano in dialetto. Questo linguaggio che molti definirebbero fin troppo colorito è proprio quello che dà corpo e concretezza alla storia che si snoda fra le immagini.