| Araba Fenice | Martedì 10 gennaio 2011 | Francesca Bovetti |
Metro è il primo grafic novel per adulti in lingua araba. È insieme un thriller, una storia d’amore e un romanzo politico metropolitano che si anima dietro le facciate e nei sotterranei di una Cairo affascinante e decadente. È la storia di Shihab, software designer, brillante però emarginato, con il genio dalla sua, ma senza “appoggi” e senza soldi, che decide di rapinare una banca, pur di pagare il proprio debito contratto con uno strozzino. Con lui l’amico Muṣṭafā, che alla fine lo tradirà preferendogli il malloppo, il mendicante Wannas un giorno cieco un giorno no, e la bella giornalista Dina, che lo ama di un “amore che non vuole nulla in cambio”. Gli avvenimenti si srotolano cadenzati dalle fermate della metro che portano il nome di leader e presidenti egiziani: Saʿd Zaġlūl, Naṣer, Sādāt e Mubārak. Però, per inciso, il nome Metro è anche il nome del carattere tipografico in cui è stampato il libro, realizzato da Dwiggins nel 1937, ancora oggi in uso per titolazioni e testi pubblicitari.
Metro è scritto e illustrato da Magdy al-Shafee (al-Šāfiʿī). Egli dice di sé che da piccolo avrebbe voluto fare il pittore e che studiava gli impressionisti, Modigliani e Kandiskij. Che si è poi ispirato a Hugo Pratt e al giovane romanziere egiziano Aḥmad al-ʿAydī, in particolare al buon vento nuovo della sua opera “Essere ʿAbbās al-ʿAbd”. Che la sua istanza si può ricondurre a quella di tutti coloro che reclamano il diritto del popolo alla libertà e ad una vita dignitosa, primo fra tutti Aḥmad ʿUrabī, che rivendicò già a fine XIX secolo “l’Egitto per gli egiziani”.
Pubblicato al Cairo nel 2008, Metro ha segnato le sorti della sua neonata casa editrice Malāmiḥ (Lineamenti o Scorci), costretta a distruggere tutte le copie non ancora distribuite, con la scusa che contenessero immagini immorali. Per la cronaca le tre vignette in questione ritraggono Shihab e Dina tra le lenzuola e il seno di Dina. Sorprende tutto questo puritanesimo nel’Egitto dei videoclip sexy e delle ballerine discinte! Metro avrebbe anche provocato l’arresto del suo fondatore, il noto blogger Muḥammad al-Šarqawī, se questi non fosse stato già in carcere per “istigazione allo sciopero” Infatti egli fu tra gli organizzatori dello sciopero del pane del 6 aprile 2008, che, partito da un appello lanciato su Facebook, e nato per protestare contro il caro-vita e i salari stagnanti, ha scatenato gli scontri violenti di Mahalla, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo.
Il bravo traduttore Ernesto Pagano, già all’opera con il bestseller “Taxi” di Ḫāled al-Ḫāmisī (raccolta di dialoghi autentici e paradossali fra l’autore e i tassisti del Cairo), commenta: “Se la censura può avere mille forme, altrettante ne conoscerà la ribellione. È così che in Egitto, paese attanagliato dall’inflazione, dalla crisi del pane e da ventisette anni (dal 1981) di stato d’emergenza, una storia a fumetti diventa un pericolo per la stabilità della dittatura “moderata” del presidente Mubārak.”
Non che, nella sua lunga “carriera”, la leadership politica egiziana non sia abituata alle contestazioni: si pensi, tra gli altri, al partito al-Ġad o al movimento Kifāya; si pensi anche all’impegno diretto di ʿAlāʾ al-Aswānī, profondamente critico, sia nei suoi editoriali sul quotidiano Šurūq, sia nei romanzi, come in Palazzo Yaʿqūbyān (comunque largamente “sforbiciato”dalla censura). Eppure, Metro è immediatamente percepito come “pericoloso”: perché?
Nella prima pagina di Metro, l’anti-eroe Shihab racconta che il giorno in cui decise di agire viveva uno stato d’animo molto preciso: “Non so bene quando tutta questa rabbia si è accumulata in me. Tutto quel che so…è che le persone stavano sempre da un lato e io sempre dall’altro… mi era rimasta solo una cosa: la mia testa, e alla fine… fece quello che la mia testa mi disse di fare.” Commenta ancora Shihab poco più avanti: “Ricordi quando ti ho parlato della trappola in cui siamo rinchiusi tutti quanti?… La trappola è aperta. Noi ci stiamo dentro soltanto perché nessuno ha mai provato a uscire.” Ed anche: “Le persone vivono come anestetizzate, non c’è niente che le colpisca. Per quante cose possano vedere, alla fine diranno sempre: fratello, questo è pur sempre il mio paese…”. È dunque, definitivamente, la rassegnazione la trappola che tiene prigioniero tutto il popolo egiziano. E se il popolo non è più rassegnato, il regime trema.
L’altro elemento caratterizzante e innovativo di Metro risiede nella lingua in cui è raccontato: qui l’arabo classico, la lingua del Corano e delle élites, la lingua scritta per eccellenza, lascia il posto al dialetto egiziano, la lingua della strada, la “madrelingua” di tutti, schietta, immediata e spudoratamente volgarmente sincera.. In questo modo le parole di Shihab e degli altri personaggi di Metro si fanno ancora più forti e reali, sostenute dalle immagini della capitale egiziana postmoderna e caotica, con i suoi quartieri residenziali e le sue baraccopoli, i suoi grassi uomini di potere e le sue masse di straccioni e disperati.
Metro è scritto e illustrato da Magdy al-Shafee (al-Šāfiʿī). Egli dice di sé che da piccolo avrebbe voluto fare il pittore e che studiava gli impressionisti, Modigliani e Kandiskij. Che si è poi ispirato a Hugo Pratt e al giovane romanziere egiziano Aḥmad al-ʿAydī, in particolare al buon vento nuovo della sua opera “Essere ʿAbbās al-ʿAbd”. Che la sua istanza si può ricondurre a quella di tutti coloro che reclamano il diritto del popolo alla libertà e ad una vita dignitosa, primo fra tutti Aḥmad ʿUrabī, che rivendicò già a fine XIX secolo “l’Egitto per gli egiziani”.
Pubblicato al Cairo nel 2008, Metro ha segnato le sorti della sua neonata casa editrice Malāmiḥ (Lineamenti o Scorci), costretta a distruggere tutte le copie non ancora distribuite, con la scusa che contenessero immagini immorali. Per la cronaca le tre vignette in questione ritraggono Shihab e Dina tra le lenzuola e il seno di Dina. Sorprende tutto questo puritanesimo nel’Egitto dei videoclip sexy e delle ballerine discinte! Metro avrebbe anche provocato l’arresto del suo fondatore, il noto blogger Muḥammad al-Šarqawī, se questi non fosse stato già in carcere per “istigazione allo sciopero” Infatti egli fu tra gli organizzatori dello sciopero del pane del 6 aprile 2008, che, partito da un appello lanciato su Facebook, e nato per protestare contro il caro-vita e i salari stagnanti, ha scatenato gli scontri violenti di Mahalla, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo.
Il bravo traduttore Ernesto Pagano, già all’opera con il bestseller “Taxi” di Ḫāled al-Ḫāmisī (raccolta di dialoghi autentici e paradossali fra l’autore e i tassisti del Cairo), commenta: “Se la censura può avere mille forme, altrettante ne conoscerà la ribellione. È così che in Egitto, paese attanagliato dall’inflazione, dalla crisi del pane e da ventisette anni (dal 1981) di stato d’emergenza, una storia a fumetti diventa un pericolo per la stabilità della dittatura “moderata” del presidente Mubārak.”
Non che, nella sua lunga “carriera”, la leadership politica egiziana non sia abituata alle contestazioni: si pensi, tra gli altri, al partito al-Ġad o al movimento Kifāya; si pensi anche all’impegno diretto di ʿAlāʾ al-Aswānī, profondamente critico, sia nei suoi editoriali sul quotidiano Šurūq, sia nei romanzi, come in Palazzo Yaʿqūbyān (comunque largamente “sforbiciato”dalla censura). Eppure, Metro è immediatamente percepito come “pericoloso”: perché?
Nella prima pagina di Metro, l’anti-eroe Shihab racconta che il giorno in cui decise di agire viveva uno stato d’animo molto preciso: “Non so bene quando tutta questa rabbia si è accumulata in me. Tutto quel che so…è che le persone stavano sempre da un lato e io sempre dall’altro… mi era rimasta solo una cosa: la mia testa, e alla fine… fece quello che la mia testa mi disse di fare.” Commenta ancora Shihab poco più avanti: “Ricordi quando ti ho parlato della trappola in cui siamo rinchiusi tutti quanti?… La trappola è aperta. Noi ci stiamo dentro soltanto perché nessuno ha mai provato a uscire.” Ed anche: “Le persone vivono come anestetizzate, non c’è niente che le colpisca. Per quante cose possano vedere, alla fine diranno sempre: fratello, questo è pur sempre il mio paese…”. È dunque, definitivamente, la rassegnazione la trappola che tiene prigioniero tutto il popolo egiziano. E se il popolo non è più rassegnato, il regime trema.
L’altro elemento caratterizzante e innovativo di Metro risiede nella lingua in cui è raccontato: qui l’arabo classico, la lingua del Corano e delle élites, la lingua scritta per eccellenza, lascia il posto al dialetto egiziano, la lingua della strada, la “madrelingua” di tutti, schietta, immediata e spudoratamente volgarmente sincera.. In questo modo le parole di Shihab e degli altri personaggi di Metro si fanno ancora più forti e reali, sostenute dalle immagini della capitale egiziana postmoderna e caotica, con i suoi quartieri residenziali e le sue baraccopoli, i suoi grassi uomini di potere e le sue masse di straccioni e disperati.
In Italia Metro arriva nel dicembre 2010 per i tipi de il Sirente, in una collana dal nome significativo: “Altriarabi”, rivolta al pubblico italiano avveduto, quello, per intenderci, che si interessa all’ebollizione costante di un Egitto concreto, lontano da Sharm el-Sheikh e dalle oasi per turisti.