LE BALLERINE DI PAPICHA di Kaouther Adimi
Saltinaria.it (Ilaria Guidantoni, 8 ottobre 2017)
“Le ballerine di Papicha” di Kaouther Adimi
Il nuovo romanzo algerino in lingua francese, giovani trapiantati a Parigi o in Francia, sta registrando risultati interessanti. Questo libro conferma la vena poetica della letteratura algerina francofona, con una scrittura leggera, curiosamente imbastardita dall’oralità dei giovani, in bilico tra due sponde e due culture, un esperimento felicemente riuscito. Un testo di grande tristezza e delicatezza: il ritratto di una famiglia attraverso la malinconia delle assenze e il dolore delle presenze che diventa un affresco dell’Algeria contemporanea e delle contraddizioni di Algeri.
Il cuore della scena è un vecchio palazzo nel cuore di Algeri, uno di quei posti in cui nessuno vorrebbe abitare…, palazzi logorati dal tempo e dalla storia che conservano un fascino indicibile e raccontano soprattutto dolori e qualche sogno. Una famiglia – che diventa anche metafora di un Paese – vive lì, al centro delle chiacchiere e dei pettegolezzi del vicinato. Sarah, la sorella maggiore, tornata a casa con un marito che sembra aver smarrito la ragione e una figlia, passa le sue giornate a dipingere, un sogno che non si realizza, una frustrazione fino alla follia, accanto a un uomo che ha amato tanto ma che non ha saputo aiutare a liberarsi dalla malattia mentale. Adel e Yasmine, i suoi fratelli in passato molto intimi, non riescono più a parlarsi. Adel ha un segreto che lo sveglia nel cuore della notte, Yasmine è così bella da sembrare un abitante di un altro pianeta eppure dolorante, a tratti invasa dal desiderio irreprimibile di felicità. Attraverso una scansione per scene, una sorta di monologhi in successione, ci restituiranno l’affresco della famiglia, nella versione intima di ognuno. Una radiografia dell’Algeria contemporanea, ma più in generale della condizione umana, questo romanzo breve o racconto lungo, una vera narrazione che sembra quasi una sceneggiatura, ha conquistato il Prix de la Vocation. Tradotto dal francese con grande eleganza da Federica Pistono, ci restituisce tutta la poesia della lingua originaria attraversata dalle sonorità algerine, che rendono mediterranea la lingua d’Oltralpe con uno stile originale che la nuova letteratura algerina, dai tempi della guerra di Indipendenza, ha saputo trovare. In questo romanzo i termini e le atmosfere “arabe” si fondono con quello scalpitare globalizzato dei giovani, le loro delusioni e problemi che mettono a fuoco i contrasti esacerbati tra vecchie e nuove generazioni in una città senza lavoro e fra tradizione e vita contemporanea. La famiglia protagonista racconta, attraverso la testimonianza della madre, l’unica senza nome, la storia di una donna che resta sola con tre figli dopo che il marito muore a causa di un proiettile vagante e il dramma del sacrificio e del sogno di un avvenire di successo per i propri cari. Le testimonianze si susseguono, intrecciandosi idealmente, come davanti al tribunale della vita, fino all’epilogo tragico di Hamza (?), vittima della follia e forse soprattutto dell’amore per il quale sacrifica tutto se stesso, fino alla frustrazione e alla rabbia che riversa contro se stesso. In effetti però l’autore non esplicita il finale che potrebbe essere anche legato al destino di Adel o di un altro membro della famiglia. Fa da contraltare la figlia Mouna, una papicha, che indica in dialetto tunisino una ragazza frivola, civetta, un po’ leggera, a seconda del contesto, per la sua capacità, ancora non infranta di sognare, l’amore che si fa danza, con le ballerine ai piedi che possono essere solo colorate, molto colorate, mai bianche e nere, mai troppo scure. Interessante letterariamente questo spiraglio verso il mondo onirico in una visione iperrealistica quale il racconto disegna e la libertà conquistata sfidando il conformismo. La dimensione del sogno è alimentata dal colore che assume un valore centrale quale specchio dei sentimenti e della condizione dei personaggi a cominciare da Algeri che alla stregua di un personaggio è vestita di bianco, ma non è candida e luminosa se non nell’apparenza. Così come Sarah sembra cercare nei colori la vita e il colore di una vita sempre più opaca.
Kaouther Adimi è nata ad Algeri nel 1986. Nel 1994, dopo aver trascorso quattro anni in Francia, torna nella sua città natale. Ad Algeri si laurea in Letteratura francese. Stabilitasi a Parigi nel 2009, ha conseguito un master in Lettere moderne e Management delle risorse umane. Nel 2010 l’editore algerino Barzakh pubblica il suo primo romanzo Des ballerines de papicha, pubblicato nuovamente da Actes Sud nel 2011, con il titolo L’envers des autres. Con questo libro la Adimi ottiene il Prix de la Vocation nel 2011. Nell’ottobre 2015 è stato pubblicato il suo secondo romanzo Des pierres dans ma poche con l’editore Barzakh.