| Rutin.it | Giovedì 6 ottobre 2011 | Jlenia Currò |
La primavera araba non è sinonimo della caducità delle stagioni. Simbolizza, piuttosto, la nascita di una rivoluzione contro i regimi. Dalle viscere della terra, non dal vertice delle piramidi, si è innalzato lo stelo della rivoluzione. Bandiere di libertà, come petali di fiori, si sono dispiegate sotto un cielo che ha implorato emancipazione dallo stato di oppressione. Il movimento di rivolta, in Egitto, è nato dal basso: la terra da cui sono sorti i metaforici fiori di libertà è il contesto omogeneo del web 2.0, dei social network, dei blog.
Il 18 gennaio 2011 non è stato un politico o una celebrità a denunciare, per mezzo di una pubblica dichiarazione, il regime di Hosni Mubarak. Il merito di avere acceso la miccia che ha infiammato la terra di Cheope è di Asmaa Mahfouz, una giovane donna egiziana che, quel giorno, ha postato su YouTube un video di denuncia contro il regime. Gli aggiornamenti su Facebook e Twitter si sono susseguiti con la rapidità di un anticorpo iniettato nel sangue. La volontà di segnalare e rendere noto lo stato di oppressione si è tradotta nel coraggio di mostrare al mondo quello che si era sempre saputo e che però era restato intrappolato nella diplomazia dei ‘piani alti’.
Anche per le strade del Cairo, la street art si fa portavoce delle novità che hanno interessato il Paese. Mummie riportate in vita sui muri delle vie egiziane non evocano ancestrali paure ma invocano la libertà.
Un medium con una naturale propensione a rappresentare gli impulsi, i desideri, le necessità la cui spinta proviene dal basso, dalla gente, è certamente il fumetto.
Della nona arte, infatti, si sono serviti gli artisti vicini alle idee dei ribelli contro il regime di Mubarak. Primo tra tutti Magdy El Shafee. La sua graphic novel Metro narra le vicende di un software designer, Shahib, nel realistico contesto di un Egitto vessato dai soprusi del regime.
Metro annuncia, profeticamente, quello che sarebbe stato, tre anni dopo, il dissenso manifestato dai ribelli. Le allusioni ad un sistema corrotto, al clientelismo, alla censura sono evidenti a tal punto che è proprio quest’ultima a colpire l’autore della graphic novel. Nel 2008 Magdy El Shafee è comparso davanti al tribunale del Cairo con l’accusa di avere prodotto materiale pornografico e di avere utilizzato un linguaggio eccessivamente volgare. Il fumetto, quindi, è stato ritirato dalle librerie del Cairo.
Risvegliare le coscienze in un sistema di oppressione non è lecito. Anche il solo uso del dialetto che parlano i personaggi di Metro non è ben visto dai sostenitori del regime. La scelta, infatti, non è casuale: il fumetto si serve della varietà dialettale come legittimazione di una società eterogenea, voltando le spalle all’esclusivo utilizzo dell’arabo Fusha, simbolo dell’unità del mondo arabo.
Più mezzi, dunque, volti a realizzare un unico obiettivo: documentare una inarrestabile pulsione di rivolta che, oggi, si è tradotta in azione concreta.
Il fumetto, ancora una volta, si presenta come un medium capace di rivolgersi al pubblico più disparato: oltre la letteratura, oltre la rappresentazione visiva, oggi strizza l’occhio agli ideali di libertà, si fa manifesto dell’esigenza di testimonianza e condivisione.