| Il Denaro n. 109 | Venerdì 8 giugno 2007 |
Analfabeti e diplomati, sognatori e falliti, taciturni e loquaci, chi racconta barzellette e chi commenta la situazione in Iraq. E’ la variegata galleria di tipi e personaggi in cui capita di imbattersi salendo su un taxi al Cairo, e le cui voci vengono ora raccolte in un libro pubblicato da poco in Egitto e diventato presto un successo,”Taxi” (Conversazioni in tragitto), del giornalista e regista Khaled al Khamissi. Il libro raccoglie in 220 pagine 58 racconti-monologo che hanno la voce degli autisti di taxi del Cairo: storie tratte dalla realtà, ma romanzate, e raccontate in un linguaggio colloquiale, che differisce molto dalla lingua letteraria usata dalla maggior parte degli scrittori egiziani, e che forse costituisce il segreto del successo di questo libro.
Il volume, pubblicato a inizio gennaio, dopo tre mesi aveva già venduto 20mila copie e ora è già stato ristampato tre volte. I tassisti protagonisti di questo libro sono assai differenti, sognatori e filosofi, misogini e fanatici, contrabbandieri e falliti, mistici e comici con quell’ironia così particolare dei cairoti magistralmente descritta dallo scrittore Albert Cossery, ma accomunati da uno stesso destino: quello di dover lottare quotidianamente per farsi strada, nel senso letterale della parola, in un mondo rumoroso e caotico. Nei confronti di questa categoria spesso poco amata e stigmatizzata dagli abitanti del Cairo, l’autore non nasconde di nutrire una particolare simpatia: nell’introduzione alle conversazioni,infatti, al Khamissi ricorda quello che spesso i clienti di un taxi al Cairo dimenticano, ovvero che i tassisti appartengono per lo più a categorie sociali tra le più bistrattate economicamente, i loro nervi sono messi alla prova dal caos delle strade del Cairo, una metropoli bellissima ma inquinata e polverosa formicolante di oltre 16 milioni di abitanti, attraversata ogni giorno in totale da 22 milioni di persone, in macchina, autobus e metropolitana ma anche su carretti trainati da asini e vesponi Piaggio. Con un sottofondo perenne di clacson e una sorprendente commistione tra città, campagna e deserto. Lo descrive bene, l’autore, il loro inferno: “E’ un mestiere sfiancante, lo stare sempre seduti in automobili poco confortevoli distrugge le loro colonne vertebrali, l’incessante rumore delle strade del Cairo demolisce il loro sistema nervoso, i perenni imbottigliamenti li sfiniscono nervosamente e il correre dietro il loro sostentamento – correre nel senso letterale del termine – elettrizza i loro corpi.
Aggiungete a questo le trattative e le litigate con i clienti per il prezzo da pagare in assenza di tachimetri, e il tormento dei poliziotti che li inseguono…”. L’autore si sofferma anche sulle loro riflessioni sul proprio Paese, i giudizi sui dirigenti, le critiche alla corruzione dei poliziotti, le molte parole che quasi tutti spendono sulla situazione in Iraq e sull’America: ne risulta una sorta di documento sulla vita quotidiana del Cairo, composto da porzioni di reale che non corrispondono nè all’immagine mostrata ai turisti, nè a quella fornita dalla produzione letteraria o cinematografica.