di Daikha Dridi (da Babelmed, 23/05/2007)
Si tratta di un piccolo libro che non si può veramente inserire un una categoria precisa, scritto da un regista che ha deciso di parlare agli abitanti del Cairo dei loro tassisti e che ha avuto un tale successo nelle librerie del Cairo, che è stato ristampato per la terza volta in pochi mesi. Taxi (Conversazioni in viaggio) di Khaled El Khamissi è in primo luogo una sorprendente idea di semplicità: 58 storie di conversazioni con i tassisti del Cairo, che l’autore ha messo insieme nel giro di un anno. Non c’è bisogno di aggiungere, che l’autore-narratore ha preferito scomparire dietro le parole dei taxi driver: le situazioni che Khaled al Khamissi racconta con minuziosità e semplicità non hanno bisogno di imballaggio o di rivestimento esplodono davanti ai nostri occhi con tutta l’evidenza che non ci prendiamo mai la briga di scrutare. La cosa ancor più degna di nota è che l’autore, che non nasconde nella sua introduzione il suo affetto per i tassisti, spesso odiati e stigmatizzati dai Cairioti, non è idealizzato e semplicistico. I tassisti non sono fatti tutti della stessa pasta, alcuni ci emozionano, alcuni ci fanno ridere fino alle lacrime, altri sono odiosi o addirittura assolutamente detestabili.
Nella sua introduzione, l’autore inizia ricordando quello che spesso i clienti dei taxi dimenticano, quando prendono un taxi al Cairo: “Nella stragrande maggioranza i tassisti fanno parte della classe sociale economicamente più svantaggiata, la loro professione è spossante, lo stare continuamente seduti in auto demolisce le loro colonne vertebrali, l’incessante rumore delle strade del Cairo distrugge il loro sistema nervoso, i perpetui ingorghi li stancano mentalmente e la corsa dietro i mezzi di sussistenza – corsa nel senso letterale del termine – elettrizza i loro corpi, aggiungete a questo le trattative le controversie con i clienti circa l’importo da pagare, in assenza di prezzi standard e le molestie da parte della polizia, che rispetto ai metodi del Marchese de Sade non sono niente”.
Sono più di 80000 al Cairo che girano giorno e notte, una delle poche città al mondo dove indipendentemente dall’ora, a tarda notte o di mattina presto, qualunque sia il quartiere in cui si trovano, è garantito vedere un Taxi passare, e sono, dice Khamissi “come una vasta gamma della società che va dagli analfabeti ai laureati (non ho finora incontrato un tassista con un dottorato di ricerca).” Le loro privazioni materiali, che sospettano, ma su cui raramente si soffermano, Khamissi le rende con una sorprendente intimità, le storie della loro vita o i piccoli aneddoti che la dicono lunga e che vengono spesso raccontati con humor, un umorismo che gli invidiamo, in quanto è educatamente disperato . Il più anziano tra i tassisti incontrati da Khamissi, un vero monumento, che lavora da 48 anni e al quale l’autore chiede divertito “la morale della sua storia”, dopo tanti anni passati in un taxi, risponde: “Una formica nera su una roccia nera in una notte buia Allah l’aiuta… ”
Ma l’intimità di questa miseria non è raccontata timidamente, si svolge davanti ai nostri occhi confusi dalla forza e dalla semplicità delle parole di queste persone che hanno smesso di lamentarsi già da molto tempo. Uno di loro è riuscito a sventare tre incidenti durante il viaggio con lo scrittore, addormentandosi alla guida, perché apprendiamo “che sono tre giorni da quando sono entrato nel taxi e non sono più uscito, mi restano solo tre giorni prima della scadenza per il pagamento dell’auto. Mangio qui, bevo qui, non lascio la macchina se non per urinare, e non dormo, non posso tornare a casa perché viviamo di quello che guadagno in un giorno, se rientro a casa dovrei spendere per far mangiare i bambini e mia moglie “.
Ma lungi dal fare di Taxi un saggio sull’indigenza dei tassisti del Cairo, Khamissi ci trasmette anche il loro pensiero sulla situazione nel loro paese, la derisione sul loro leader, la loro rabbia contro la corruzione nella polizia. Ad un tassista visibilmente arrabbiato, il narratore chiede gentilmente cosa c’è che non va, il tassista inizialmente dirige la sua rabbia contro Khamissi poi accetta di dirgli tutto: “Ho preso un cliente a Nasr City che mi ha chiesto di portarlo a Mohandissine (dall’altra parte della città, Ed), quando siamo arrivati dopo un traffico micidiale e tutto il resto, non sapevo che era un poliziotto, scendendo si è messo a gridare: ‘la patente figlio di un cane! “. Gli ho chiesto il perché, visto che non avevo fatto niente, gli ho mostrato la patente e gli ho dato 5 Lire, mi ha detto che non erano sufficienti, gli ho dato 10 Lire, le ha rifiutate, ha preso poi 20 Lire ed è sceso il figlio di puttana, e io giuro che è tutto quello che aveva in tasca dopo aver fatto benzina. Che Dio distrugga la loro vita come loro distruggono la nostra. ”
Ma se il narratore è taciturno, ci sarà sempre un tassista per distenderlo aggiornandolo sulle ultime novità in Egitto: “Sembra che un egiziano ha trovato la lampada di Aladino, strofinandola il genio è uscito per dirgli che avrebbe realizzato qualsiasi desiderio. Lui ha chiesto un milione di Lire. Il genio della lampada gliene da solo 500. Perché? Protesta l’uomo, il genio risponde, il governo ha un business con la lampada facciamo fifty-fifty “.
Altri ancora dicono a Khamissi che piangono per l’Iraq, ci avevano vissuto prima dell’invasione americana e ora hanno la sensazione ingrata di non poter fare niente per aiutarli “gli iracheni ci hanno sempre accolto con un incredibile ospitalità, e ora che hanno bisogno di noi, li guardiamo morire da lontano. ”
L’Iraq è molto presente nelle bocche dei tassisti Cairoti e anche l’America: “bisognerebbe fare e parlare come gli americani: eliminiamo la parola ‘Americani’ e diciamo ‘bianco protestante irlandese d’america’, ‘Nero musulmano d’america ‘,’ ispanico d’america ‘,’ nero protestante d’america ‘, esattamente come loro dicono; cento sciiti d’Iraq sono morti, due sunniti d’Iraq sono morti e i figli di puttana dei nostri giornalisti, ripetono per tutto il giorno la stessa cosa. Io ascolto La radio tutti i giorni e mi avvelena il corpo ascoltare queste cose “.
Khaled Khamissi ci fa visitare un Cairo vivo, attraverso porzioni di reale, che non corrispondono né ad un’immagine asettica che il governo vorrebbe dare a milioni di turisti che visitano ogni anno la città, né fantasmi letterari o cinematografici prodotti da un certo numero di scrittori o registi Egiziani. La scrittura di racconti brevi, che siano divertenti o deprimenti, storie che raccontano i tassisti sono uno dei migliori documentari che è stato fatto sul Cairo. Non vi è alcun dubbio che l’autore dedica il suo libro “alla vita, che abita le parole della povera gente, forse quelle parole riempiranno il nulla che abita in noi da tanti anni”.
(traduzione di Chiarastella Campanelli)