Lettera internazionale 98 – 4° trimestre 2008
di Linda Giannattasio
«Regalo questo libro alla vita che abita nelle parole delle persone semplici. nella speranza che ingoi il vuoto che da anni dimora cdentro di noi». Si apre così Taxi, opera dell’autore egiziano Khaled Al Khamissi, con un dono e una dichiarazione di intenti che lascia fin da subito il suo regno e la sua volontà al lettore che si appresta a compierne il viaggio. Viaggio, infatti, è l’unico modo nel quale questo libro può essere definito, un’opera che pur essendo di fiction non è propriamente un romanzo, bensì un percorso. Un percorso che si dirama nel dedalo delle strade di quella città che meravigliosamente ricca di contraddizioni che è Il Cairo, alla scoperta dei suoi nascondigli e della sua gente. E allora si parte. Bastano le voci dei tassisti, cantastorie di racconti che molto spesso non sono favole ma drammi di vita quotidiana, e un passeggero interlocutore, per tratteggiare in una serie di storie brevi e significative, il modno dell’Egittto dei nostri giorni.
Il lettore è a bordo di queste auto nere e scalcagnate che attraversano il traffico della città e assiste a ognuno di questi dialoghi immergendosi di volta in volta in una realtà diversa che coinvolge, attraverso storie di vita comune, i temi della politica, dell’economia, della sanità e dell’istruzione. Temi affrontati con l’ironia e la disperazione di quelle persone semplici che li vivono e per questo hanno il diritto di avere voce. Ed è proprio la voce di quei tassiti che l’autore definisce «termometro dell’umore delle indomabili strade egiziane» a raccontarli. Tassisti con ogni tipo di competenza e livello di istruzione, prigionieri di un «business dei poveri» dall’incremento incontrollato e incontrollabile.
Ecco, Quindi, che nelle cinquantotto storie in cui si articola il racconto si incontrano decine di personaggi, tutti protagonisti di una vita diversa: c’è il disgraziato che guida da tre giorni consecutivi rischiando la vita per un colpo di sonno perché deve pagare la rata d’affitto del suo taxi, l’esperto di borsa, il laureato che porta il taxi per arrotondare «perché in Egitto è impossibile sopravvivere con un solo stipendio».
Storie di povertà, dalle quali emergono anche le convinzioni politiche di questa gente: c’è chi bestemmia contro il Ministero dell’Interno e le forze dell’ordine, chi maledice il governo e chi ama l’Iraq. Chi vorrebbe cancellare la parola “americano”, chi è arrabbiato per una democrazia inesistente e chi è davvero rassegnato quando afferma: «Nessuno ci umilia meglio del nostro Paese». È allora che il lettore non è più spettatore ma entra nel mondo che vive in quelle pagine, un mondo ben raccontato anche nello stile, narrato attraverso i suoi dialetti – tradotti con le inflessioni del nostro italiano – ma anche descritto con termini lasciati nella lingua d’origine, perché conservino la loro forza. Parole, racconti popolari, tante barzellette che non solo contribuiscono a rendere facile la lettura ma sono lo specchio della società egiziana e il modo perfetto per criticarla.
Così chi legge prosegue il suo viaggio, guidato in un universo di nomi e di luoghi, con una cartina e un glossario a fargli compagnia. Perché nessun luogo è privo di senso e nessuna parola viene lasciata senza spiegazione nell’intento sociologico e didattico proprio di questo libro.
Un libro attraverso il quale si scopre la gente d’Egitto e l’Egitto profondo, avvicinandosi in punta di piedi a un mondo arabo di cui si parla spesso da troppo lontano. Si entra nelle maglie della povertà e allo stesso tempo si apprezza la bellezza dei luoghi in cui quel mondo abita e vive le sue contraddizioni. Un viaggio da compiere, nella speranza che ingoi davvero quel «vuoto che da anni dimora dentro di noi».