VENTIQUATTO DEL SOLE 24 ORE – 5/09/2008
di Elisa Pierandrei
Lo scrittore Khaled Al Khamissi ha viaggiato per un anno sulle auto pubbliche cairote. Dalle chiacchiere con i conducenti è scaturito un libro, in breve divenuto un bestseller. Perché le storie ascoltate nelle convulse vie della capitale lasciano trapelare una denuncia caustica e ironica del malessere sociale che attraversa il Paese.
Scendo di corsa le scale della palazzina. Il mio bawab – il giovane portiere che passa il tempo seduto nell’ingresso o a dormire nella sua stanzetta nel sottoscala – mi ferma il primo taxi di passaggio in via 26 Luglio, nel ricco quartiere di Zamalek, il cuore della Cairo cosmopolita. Salgo su una vecchia Fiat bianca e nera. L’autista agguanta una sigaretta – anche se sul cruscotto c’è scritto “vietato fumare” –, sporge la mano dal finestrino e si rimette in carreggiata. Direzione Downtown Cairo. Prima accende la radio, Imad (così si è presentato) mi chiede se la musica mi disturbi. Non importa: siamo in coda da dieci minuti nel frastuono dei clacson. Alle cinque del pomeriggio la corniche, la strada che costeggia il Nilo, è intasata dalle automobili di chi rientra a casa.
Imad è abituato. Si mostra curioso nei miei confronti e, nonostante mi esprima in arabo, capisce che sono straniera (un guaio, pretenderà più soldi: la maggior parte dei taxi del Cairo non ha il tassametro). Farfuglia qualcosa su Berlusconi e sul calcio. Dice che gli italiani sono miyya miyya («al cento per cento»). Allora lo stuzzico chiedendogli se gli piaccia vivere nell’Egitto del presidente Hosni Mubarak o se vorrebbe al potere il movimento islamico di Fratelli Musulmani (bandito ma tollerato dalle autorità del Cairo), principale forza all’opposizione nel Paese. Risponde che vorrebbe provare il Governo degli islamici, anche se lui non prega né va in moschea: «Perché no? Li abbiamo provati tutti».
Siamo arrivati, e quasi mi dispiace: è raro in questo Paese trovare uno sconosciuto pronto a discutere di politica. La portiera è sfondata e la maniglia non c’è, Imad scende e mi apre dall’esterno. Pago la corsa ed entro in un piccolo caffè del centro.
Sono in ritardo, ma troverò comprensione.