| Tiscali Social News | Lunedì 25 giugno 2012 | Gianfranco Franchi |
Si parla di Ucraina, da qualche anno a questa parte, addirittura al di qua delle Alpi, nel nostro infelice, presuntuoso belpaese; tutto è cominciato con un vecchio spot, credo del Corriere della Sera, in cui un’astronave cadeva proprio sul territorio d’una delle nazioni nate dalla disgregazione dell’impero sovietico – appariva una vecchia contadina che insegnava a dire “Ucraina” non soltanto agli astronauti russi, ma agli italiani al gran completo. Da questa prima, robusta [si fa per dire] apertura noialtri italiani abbiamo dedicato progressivo, crescente spazio ai calciatori ucraini [Shevchenko in primis], alle pittoresche proteste nude delle neofemministe ucraine, le celeberrime Femen, al colore della rivoluzione democratica di qualche anno fa [“arancione”], scoprendo en passant, con negligenza complice, una deportazione d’una popolazione italiana di Crimea [va da sé, per mano socialista, intelligenza stalinista] e forse qualche memoria degli anni belli di Feodosia, vale a dire della Caffa genovese. Viene a questo punto a colmare le nostre caratteristiche lacune tricolori un saggio del giornalista e scrittore marchigiano Massimiliano Di Pasquale, classe 1969: “Ucraina terra di confine”, pubblicato dai tipi del Sirente nella primavera 2012, è una guida intelligente, snob e appassionante. È una guida che viene a parlarci di una terra dalla storia complessa, multietnica e multiculturale, benedetta da un buon numero di letterati di fama internazionale, di grande rilevanza strategica nel concerto europeo; è un libro che ci alfabetizza a dovere sulla questione Tymošenko, sensibilizzandoci da ogni punto di vista, e ammonendoci sull’opportunità di non sottovalutarne le implicazioni; è un saggio che racconta quanto terribile sia la negazione o la riduzione della memoria del genocidio degli ucraini per mano socialista sovietica, l’Holodomor, e quanto romantica sia la memoria dell’antico regno dei Rus’ di Kiev, grande amico di Costantinopoli; è un grande atto d’amore di un letterato italiano appassionato di cultura ucraina – vero ponte pop tra l’Italia e l’Ucraina. Forse l’unico sin qui emerso a un certo livello.
“Ucraina. Terra di confine”, come osserva la docente di ucrainistica Oxana Pachlovska, nella postfazione, è un libro che lascia grande spazio alle reminiscenze e agli aneddoti letterari, preferendo sempre rivolgersi a un pubblico competente, disseminando con eleganza omaggi e riferimenti a Gogol, al galiziano asburgico Joseph Roth, a Stanislaw Lem, a Bruno Schulz, a Michail Bulgakov, a Gregor von Rezzori e a von Sacher-Masoch. Ma si scoprono figure probabilmente meno note, da queste parti, come Ivan Franko, artefice del rinnovamento letterario ucraino di tardo Ottocento – in suo onore la città di Stanyslaviv è diventata Ivano-Frankivsk – e fautore d’un’Ucraina libera e democratica, nemica del marxismo: marxismo che quel grande aveva già stanato: “religione dogmatica fondata sull’odio e la lotta di classe”, scriveva, ben prima della carneficina sovietica del Novecento. Oppure, si scoprono figure come Taras Shevchenko, poeta ed eroe nazionale ucraino, morto a Pietroburgo nel 1861; si tratta di un erede della tradizione dei Kobzar, spiega Di Pasquale, vale a dire i “mitici cantastorie ucraini”. Ed è uno che ha saputo dire “lottate e vincerete” non solo all’Ucraina, ma alla Polonia, alla Lettonia, all’Estonia, alla Lituania, alla Moldova, ai popoli del Caucaso e dell’Asia, agli stessi Russi [p. 101]. Un ribelle democratico e anticlericale – nemico dell’imperialismo russo, amico del popolo.
Ho trovato belle e ispirate le pagine sulle città di Leopoli e Kyiv (Kyev), su Sebastopoli, Odessa e Yalta; romantiche le note sul “Robin Hood dei Carpazi”, Oleksa Dovbush, già omaggiato da una novella di von Sacher-Masoch; micidiali le note sulle Asgarda, e sulla reale nazionalità delle Amazzoni; equilibrate e tristi le pagine sulla Shoah, e sul disastro nucleare di Chernobyl [già: è in Ucraina, non in Russia], e oneste e lucide le episodiche punzecchiate antisovietiche, fondate su argomentazioni serie e su una documentazione tosta. Tornerò senza dubbio a consultare questo testo. Muovo un’ovvia critica: manca un’indice dei nomi – ciò è incomprensibile, e sbagliato – e un’altra, forse meno ovvia; vale a dire che ogni tanto ho sofferto un po’ che qualche capitolo fosse stato scritto cinque o sei anni fa, e altri invece più di recente. S’è trattato d’un cortocircuito comunque non fastidioso – soltanto, ovviamente, periodicamente sensibile.
Speriamo davvero che a partire da questo saggio in tanti s’avvicinino con altro entusiasmo a questa terra di frontiera [“u-krayi-na” è un’etimo che non tradisce, accenna l’autore a pagina 217], accantonando perplessità e pregiudizi sul grigiore ereditato dalla vecchia Urss: la copertina, con quella bella Chiesa di Santa Caterina di Chernihiv, è una veridica promessa di eleganza, cultura e vivacità. Dimenticavo – molto ben fatto l’inserto fotografico.