Il ragazzo di Aleppo che ha dipinto la guerra di Sumia Sukkar
Rosso rubino è il colore preferito da Adam, è il colore che emana da sua sorella Yasmine quando è felice. La sua risata è divertente: è come sbucciare una mela su una superficie bagnata e splendente. Il grigio è il colore della negatività, Gustave Aschenbach di Morte a Venezia pulsa di grigio, deve essere cattivo, il grigio è il colore dei bulli che lo tormentano a scuola. L’arancio mescolato al blu è il terrore negli occhi di qualcuno. Il viola è il colore della morte, il colore che esalava dalla bara di mamma quando se ne è andata. Adam capisce i colori, il loro alfabeto e se ne serve per dipingere il suo mondo, che si riduce alla casa che è anche il suo santuario, un luogo in cui può nutrire le sue ossessioni e dove gli altri le rispettano. Sa esattamente quali mattonelle saltare per arrivare al frigo senza che accada nulla di brutto, sa come saltare dalla soglia di camera sua al letto schivando il tappeto, sa quanti passi a destra fare prima di uno a sinistra, conosce gli umori dei suoi cari: baba, che torna a casa tutte le sere alle 16:48, i suoi Tareq e Khaled con cui non parla mai perché la sua voce si rifiuta di uscire dalla gola, suo fratello Isa e sua sorella Yasmine con cui riesce a comunicare anche se non ama molto farlo. Vive in un mondo governato da regole e abitudini che non riesce a decifrare. Adam non capisce le menzogne: perché le persone, scelgono di raccontare qualcosa che non è accaduto tralasciando invece qualcosa che è accaduto? Adam non capisce le barzellette, ma sa ridere, solo Yasmine e il suo amico e vicino di casa Ali sanno come farlo ridere. Adam non capisce le metafore, ma ne usa a piene mani per interpretare le emozioni. Adam non capisce la guerra: perché qualcuno dovrebbe voler fare del male a qualcun altro, privarlo della vita o delle mani o del suo bambino non nato, o della casa o di tutto questo insieme? Queste cose lo confondono, il verde della malattia lo rattrista e in queste occasioni battere i piedi, dondolarsi, contare, non basta a calmarlo, ha bisogno di tirare l’elastico che ha al polso una, due, mille volte, anche se il rumore infastidisce baba e i segni rossi si fanno sempre più marcati…
Adam proclama di non capire le emozioni, ma, con l’irrompere della guerra nella sua vita, con l’instabilità crescente dei pilastri che sorreggono il suo mondo, la fuga da Aleppo verso la salvezza a Damasco, la fame, la sete, il dolore, le ferite sue e dei suoi familiari, le perdite, i distacchi temporanei o definitivi che siano, tutta la sua esistenza è scardinata, il blumarino e il bianconeve ‒ i colori della morte e del dolore e della perdita ‒ sono sempre più presenti, ecco che le emozioni gli fluiscono attraverso, gli sferzano la carne, non ha più barriere né pelle per difendersi. Non rimangono che il gatto Liquirizia e un orecchio che nasconde in tasca e tira fuori quando ha bisogno di confidarsi, di riversarci dentro il mare di dolore e confusione che lo soffoca. La sindrome di Asperger de Il ragazzo di Aleppo che ha dipinto la guerra è una parte essenziale del libro esattamente quanto la guerra. Adam racconta se stesso e ciò che gli è esterno attraverso l’unico alfabeto che gli è familiare: i colori; le sue ossessioni sono la barriera di difesa tra un ragazzo che sembra vivere gli eventi attraverso un corpo senza pelle, tutto lo tocca in maniera dolorosa e stordente, il mondo suona le sue note stonate e cacofoniche strimpellando direttamente sulle corde dei suoi nervi. La voce di Yasmine, che si alterna alla sua nel racconto della fuga, è invece potente, stentorea, quasi dolorosamente concreta. È una donna appassionata, una combattente risoluta, che ha pagato col proprio corpo il prezzo della ribellione, che ha rinunciato a molto per amore di Adam e che guiderà tutta la famiglia nella marcia massacrante attraverso il deserto, si prenderà cura di tutti, di Amira e del bambino fantasma che abita nel suo corpo, di Khaled senza mani, di Ali e Adam e Tareq; prende decisioni dure come lasciar andare via verso la salvezza baba malato; ingoia il dolore della perdita di Isa e sopporta le torture e il carcere. Un libro complesso, potente, che affronta due temi difficilissimi con leggerezza e originalità non disgiunte da una profonda capacità di indagine, un testo in cui tutto ha un suo senso e contribuisce a declinare e disegnare le emozioni di Adam e di tutti gi attori di un dramma che da nazionale si fa intimo, personale. Molto significativa è la scelta dell’autrice di non usare le maiuscole per alcuni nomi propri o di usarle in un certo modo per dare forza grafica agli stati d’animo. Nel complesso un bellissimo libro, a partire dalla veste editoriale curatissima impreziosita da una stupenda copertina e da un cameo in prima pagina che sintetizza il tema del libro.
Mangialibri, Lisa Puzella, 11/01/2016