| Internazionale | Venerdì, 12 ottobre 2014 | Lucy Popescu (The Indipendent) |
La libertà di espressione è la prima vittima di ogni dittatura. Le opere degli scrittori e degli intellettuali dissidenti sono vietate e, se il divieto non ottiene leffetto desiderato, gli autori stessi sono imprigionati, torturati o semplicemente “scompaiono”.
Le esperienze vissute da Nihad Sirees in Siria sono al centro del suo romanzo del 2004 profondo e attuale. Il silenzio e il tumulto segue un giorno nella vita di Fathi Sheen, scrittore un tempo famoso e poi condannato all’oscurità
perché “non patriottico”. Mentre Fathi attraversa la città per andare a visitare la madre e la fidanzata, un leader senza nome celebra il ventesimo anniversario della sua presa del potere, e la gente si riversa nelle strade per esprimere il proprio consenso. Fathi incontra altri personaggi che, come lui, lottano per trovare un senso in quelle marce, in quella musica militare, in quei discorsi – tutto il “rumore del regime”. Nell’improbabile veste di eroe, Fathi interviene per fermare le squadre governative che picchiano uno studente, e tenta di salvare una donna che sta per essere calpestata. Anche se è stato messo a tacere, Fathi è ancora rispettato. Un impiegato del governo vuole descrivergli le torture che ha dovuto subire dopo che un guasto della fotocopiatrice ha fatto sì che una macchia di inchiostro deturpasse i ritratti del leader. Un medico che cura i feriti durante le marce implora Fathi di dare un nome alla perdita del rispetto per la vita umana, e lui ricorre al surrealismo. Intrecciando queste storie con quella di Fathi, Sirees crea un ritratto agghiacciante di un popolo dominato dalla paura. Dopo che gli hanno impedito di scrivere, le “due armi di sopravvivenza” di Fathi sono il sesso e le risate. Tuttavia, quando si trova nella sede centrale del partito, la sua capacità di resistere è messa a dura prova. Gli offrono una scelta difficile: aderire al “rumore” scrivendo propaganda di regime o affrontare “il silenzio del carcere”, o peggio “la tomba”. Il dittatore senza nome di questo racconto orwelliano potrebbe corrispondere a tanti oggi al potere, ma le analogie con la Siria sono evidenti.